Bipolarismo di ritorno
L’intesa Pd-5 Stelle

I ballottaggi nei Comuni hanno confermato la tendenza elettorale che osserviamo da diversi mesi. La crescita del centrodestra a trazione leghista che conquista Comuni fino ad oggi roccaforti della sinistra (esempio clamoroso: Ferrara); la debole inversione di tendenza del Pd che ha quasi fermato l’emorragia di voti, per certi aspetti si è ricompattato (si riprende Livorno) ma pure continua a perdere posizioni. Entrambi, centrodestra e centrosinistra, sono sul campo come avversari - oggi l’uno forte e l’altro debole - e dunque rimettono i paletti di un bipolarismo dato frettolosamente per morto.

Infatti il terzo soggetto, finora primo partito, il M5S, è sostanzialmente assente in moltissimi Comuni, e dove c’è quasi mai arriva al ballottaggio, e dove ha vinto una volta perde subito dopo (Avellino, Pomezia, Livorno). Il M5S però questa volta almeno un Comune l’ha strappato: Campobasso. Con un elemento molto interessante: si sa che in città, tra il candidato leghista e quello grillino, gli elettori del Pd hanno votato per quest’ultimo. Il neo-sindaco smentisce patti segreti tra i due partiti ma l’idea di una coalizione «tutti contro Salvini» in quel capoluogo del Molise si è realizzata.

Molti a Roma pensano che potrebbe essere un esempio anche in campo nazionale. E di sicuro il sospetto di un’intesa futura tra Zingaretti e Di Maio (o Fico, più credibilmente) potrebbe domani rivelarsi la vera alternativa al governo giallo-verde che ha già perduto, nel breve volgere di un anno, la sua carica iniziale. Anche di questo discutono Salvini e Di Maio, ed è uno degli elementi che sono certamente valutati da Conte. Pensieri sparsi che agitano le sere e i vertici di coalizione, tornati in agenda dopo tanto tempo e tante polemiche sanguinose tra leghisti e grillini. Salvini e Di Maio devono ridiscutere il contratto almeno per l’immediato, perché già domani non si sa cosa fare. Mantenere in piedi il governo oppure no? A chi conviene andare ad elezioni anticipate? Chi si intesterà la manovra di Bilancio con i suoi contenuti forzatamente impopolari? Ognuno fa i suoi calcoli.

Salvini, che potrebbe subito capitalizzare i voti presi alle Europee (e alle amministrative). Di Maio che deve evitare il più possibile che una possibile débâcle elettorale alle politiche travolga la sua leadership. Conte, che in questo frangente assume l’aspetto istituzionale di chi si presenta al mondo come responsabile e affidabile, avoca a sé e a Tria la trattativa con Bruxelles, mantiene uno stretto contatto con Mattarella, boccia proposte provocatorie come i minibot che pure i «suoi vicepremier», come li chiama, propagandano ai quattro venti come la soluzione di tanti mali mentre da Draghi in giù tutti li considerano una specie di bufala legalizzata. Se si andasse alla rottura in vista di nuove elezioni, si potrebbe fare un governo tecnico (candidato già pronto: Salvatore Rossi, ex direttore generale della Banca d’Italia) che come Monti si dovrebbe sobbarcare il peso di tasse e tagli e consentirebbe a Lega e M5S di fare una campagna elettorale come se fossero partiti di opposizione. Se invece si decidesse di andare avanti così almeno sino a settembre, quantomeno bisognerebbe ridiscutere le quote di potere e di sottopotere sulla base dei nuovi rapporti di forza. Sarebbe il «rimpasto», parola odiata dai nuovi politici, ma dal significato identico a quello della Prima Repubblica: esce un ministro, ne entra un altro, insomma la classica girandola delle poltrone.

Tornati al tavolo insieme tra mille sospetti e retropensieri, i tre del vertice governativo hanno un problema: le loro promesse, con questi chiari di luna dell’economia e dei conti pubblici, non possono essere finanziate, soldi non ce ne sono. E questo è il vero punto di debolezza che accomuna Salvini a Di Maio.

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