«Bojo» piace alla pancia, il ritorno è possibile

«Hasta la vista baby». Boris Johnson si era congedato così da Downing Street dopo le sue dimissioni, citando Terminator. Poi, memore dei suoi studi classici a Oxford (ha una laurea in storia romana), si è atteggiato a novello Cincinnato: «Torno al mio aratro».

Chi l’avrebbe detto che sei settimane dopo la parentesi disastrosa di Liz Truss sarebbe tornato in lizza per la guida dei Tories e naturalmente la premiership del Regno Unito? Lo avrebbe detto lui, l’ex giornalista e due volte sindaco di Londra che non difetta certo di autostima. Un ritorno in grande stile, con tanto di abbandono frettoloso delle vacanze ai Caraibi con la terza moglie Carrie Symonds, poiché «Bojo» sarà pur sempre un Cincinnato postmoderno ma per ritemprarsi agli orti preferisce il lusso e i party (e infatti è ancora sotto inchiesta da una commissione parlamentare per il famigerato Partygate, avendo organizzato una festa nel bel mezzo di una pandemia, ovvero nella sua fase più tragica e acuta, in barba alle regole anti-Covid).

Mai dire mai con «Bojo», uno dei più stravaganti politici che l’Inghilterra abbia mai avuto, ma anche dei più realisti, lucidi, spregiudicati e coriacei. Ultimamente aveva inasprito ancora di più le leggi che limitavano i diritti dei cittadini extracomunitari e perfino comunitari nel Regno Unito, dichiarando guerra ai clandestini, per cercare di uscire dall’angolo in cui si era cacciato. Dovrà vedersela con il giovane di origine indiana Rishi Sunak, 41 anni, che aveva complottato non poco tra i conservatori per mandarlo via. Luji e Sunak sono due personaggi divisivi. E infatti il glorioso partito dei Tories, dopo il fallimento dell’aspirante Thatcher Liz Truss, che non ne ha azzeccata una e sembrava giocare una partita per conto di Johnson (o di Sunak) tante erano le sue mosse finanziariamente folli, è spaccato in due come una mela.

Se dovesse spuntarla «Jolly Johnson» non è detto che il suo mandato si trasformi in un tappeto di rose. Anzi per la verità dovrà camminare sulle spine di un partito attraversato dai rancori, convulsioni e talvolta persino dall’odio. E soprattutto affronterà un Paese stremato. Certo la Truss ci ha messo del suo promettendo un taglio delle tasse ai ricchi di 45 miliardi sterline a debito, senza copertura finanziaria e provocando nell’ordine: la reazione violentissima dei mercati azionari e obbligazionari della City (e non solo), gli interessi dei titoli britannici alle stelle, il mezzo crack dei fondi pensione. Ma il Regno Unito era già conciato ben prima della parentesi Truss. Sta pagando le conseguenze della Brexit, indubbiamente il fenomeno politico legato indissolubilmente a «Jolly Johnson», che l’ha fortemente voluto. Inaugurando una variante becera del ben noto sovranismo britannico. Con le sue stravaganze, il suo popolarismo esasperato in odore di demagogia che lo rende simpatico a pensionati e alla working class è l’incubo maggiore dei laburisti, che come è noto non se la passano bene. E infatti è l’unico che gode di ampio consenso nella «pancia» del Paese e naturalmente di ampi strati del Partito conservatore. Economicamente è stato devastante, ma ha trovato chi ha fatto peggio di lui. Mai il padre della Brexit si sarebbe sognato di varare un piano di tagli delle tasse così strampalato da far rischiare il default all’intero Paese.

Ora si avvicina la sfida finale (si parla anche dell’outsider Penny Mordaunt) tra Sunak e Bojo. Quest’ultimo ormai, tornando come Nelson dai Caraibi, si atteggia a salvatore della patria dopo che ha stravolto (se non picconato) la patria stessa e cita di continuo il suo grande idolo Winston Churchill. Ma finora di Churchill Johnson può vantare solo la stazza fisica.

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