Calcio, passione sempre ultima

Se i palazzi e i cosiddetti manager che governano il calcio fossero quel tantino meno autoreferenziali, e quel tantino meno accecati da soldi e fatturati, forse si farebbero qualche domanda davanti all’onda di distacco che si registra in queste ore - e da settimane - tra gli appassionati di calcio e i Mondiali appena cominciati in Qatar.

Ed è un tema che va molto al di là di due elementi che di certo conservano un loro peso specifico: l’assenza dell’Italia per la seconda edizione consecutiva e la scocciatura oggettiva dello stop ai campionati e alle coppe internazionali in un periodo del tutto inusuale. Uno stop che peraltro finirà per pesare - per ragioni ovvie - sulla regolarità della stagione. E un peso l’ha già avuto: abbiamo visto calciatori, nelle scorse settimane, dimostrarsi iper prudenti di fronte a dolori e dolorini, perché ovviamente il retropensiero del Mondiale imminente li induceva a un comportamento conservativo per non perdersi la carta d’imbarco per Doha.

Ma anche al netto di tutto questo, e persino al netto delle rispettabilissime proteste per il mancato rispetto di quasi ogni diritto dalle parti di Doha (ma allora queste proteste andrebbero argomentate anche quando da quelle parti si va in vacanza su isole artificiali - sia in Qatar che in quelle ben più famose di Dubai - che sono state costruite da quelle stesse maestranze sfruttate fino allo sfinimento per realizzare questi stadi, solo per fare un esempio), ci permettiamo di sospettare che non sia questa la causa principale del mancato entusiasmo, praticamente in tutto il mondo, per questi Mondiali.

Il tema di fondo, sommerso ma non troppo, è che chi governa il calcio continua a prendere scelte e decisioni ignorando le ragioni della passione della gente. Mondiali in autunno perché fanno un sacco di soldi? E Mondiali in autunno sia, fa niente se la gente non ci potrà andare e tocca pagare plotoni di finti tifosi delle varie Nazionali, mettendo insieme una baracconata francamente indigeribile. Si fanno, si devono fare lo stesso. Per non dire dei prossimi Mondiali, fra 4 anni in Canada, Messico e Stati Uniti. Da un mondiale giocato in un fazzoletto di deserto a un Mondiale diviso in tre Stati separati da migliaia di chilometri, con climi e altitudini diverse: chi giocherà in Canada non troverà certo caldo, chi giocherà in Texas avrà caldo umido, chi nell’altura messicana in condizioni radicalmente diverse. Ma si deve fare e si fa, e chissenefrega della gente. E si farà con 48 squadre, ligi all’imperativo di moltiplicare a dismisura le partite in ogni competizione, perché più partite fanno più ascolti e quindi più soldi. Fa niente se più partite di certo abbassano la qualità di quel che si vede.

È questo chissenefrega, questo mettere la passione della gente sempre all’ultimo posto, a generare un distacco tanto evidente dalla manifestazione più attesa della storia del calcio. E questa del Mondiale in Qatar è solo l’ultima delle scelte che ignorano il sentimento popolare legato al calcio. Ne vediamo di enormi, come il legame sempre più imprescindibile tra calcio e tv, che ha generato partite in ogni giorno e in ogni orario. E ne vediamo anche di più piccole, come la formula folle della Coppa Italia, fatta palesemente con l’intento di favorire le più forti e arrivare a una fase finale che accenda l’interesse e quindi faccia soldi.

Le conseguenze di queste scelte si vedono sempre più marcate. La tentazione della SuperLega, per esempio. O la Serie A che, danneggiata da una ripartizione dei soldi che favorisce le più forti, alla ripresa si ritrova con mezzo scudetto già assegnato e tre squadre già quasi condannate alla B, con un’infinità di partite senza senso sportivo da doversi disputare. La passione è sempre ultima in classifica. Ed è stata ultima anche nella scelta di questo Mondiale da giocare in un Paese senza tradizione calcistica, spostandolo dal calendario per poterlo giocare in condizioni praticabili, passando dai Mondiali che ci hanno sempre occupato l’estate a un Mondiale che ci ostruisce l’autunno. Poi, certo, vedremo grandi partite, grandi campioni, gol memorabili. Ma mentre palazzi e manager conteranno i soldi, la gente almeno in parte volterà la testa dall’altra parte. E questo prima o poi diventerà il grande problema del calcio.

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