Come sarà l’Italia?
Un mistero da svelare
La stagione della fiducia e dello scatto creativo di allora, per quanto obbligata perché peggio non poteva andare, si contrappone all’attuale età del disincanto e dello smarrimento. Il dopoguerra di un’Italia ancora contadina, distrutta e alla fame, ha allevato il Paese del miracolo economico, dell’Oscar della lira e di un benessere relativamente diffuso. Sotto l’ombrello dell’America s’era creato un orizzonte di crescita che ha trascinato il mondo occidentale, facendo dell’Italia una potenza industriale e una consolidata democrazia occidentale.
Il Segretario di Stato George Marshall annunciò il suo Piano nel ’47 all’Università di Harvard, mentre oggi l’America è governata dai tweet di Trump, l’unico inquilino della Casa Bianca che deve difendersi dall’accusa di essere un incompetente. Quella democrazia – lenta, farraginosa, eppure garantista per definizione – che oggi non a tutti piace: il vezzo di chi si ritiene autosufficiente. Una classe politica, la cui tempra politica si risolveva nella dedizione alla causa. Personalità diversissime, divise da insanabili fratture ideologiche, tuttavia unite dall’aver combattuto una guerra vera contro un comune nemico. La Resistenza aveva creato un tessuto connettivo che, nonostante tutto, ha consentito di contenere le grandi tensioni sociali dell’epoca, pagate peraltro dai ceti popolari e operai. Dirigenti sulla soglia della miseria, ma colti e preparati. Il democristiano De Gasperi va in America a chiedere finanziamenti con il cappotto «rivoltato» perché non aveva i soldi per acquistarne uno, il socialista Pertini in esilio campava facendo il muratore. Per uomini di questo genere la democrazia era una conquista, non un’eredità. Scelte di campo che definivano identità, avversari da contrastare, perimetri culturali da edificare. Era un’Italia che dal basso saliva verso l’alto, percorso opposto a quello attuale.
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