Concorrenza, qualcuno è penalizzato
ma fa bene

L’Italia doveva fare nel 2006 una cosa in sé semplice: mettere a gara la gestione delle spiagge, tutte di proprietà dello Stato, concesse a privati con 27 mila autorizzazioni su 7.500 chilometri di costa. Ora, lo farà nel 2024, cancellando il rinvio al 2033, cioè ad un beffardo mai. Sarebbe una storica svolta contro l’Italia dei privilegi, ancora di recente sostenuta con gagliarda faccia tosta da economisti vari in un appello a Draghi, perchè mandasse a casa il suo consulente a Palazzo Chigi, Francesco Giavazzi, giudicato «troppo» liberale proprio su dossier come questo delle concessioni balneari.

Nessuno, per 16 anni, era riuscito nell’impresa e una sola volta, e comunque spolpata dagli emendamenti, era stata varata una legge sulla concorrenza che dovrebbe essere obbligatoriamente annuale. Ci avevano provato Antitrust, Corte di Giustizia europea, Corte Costituzionale, vari Tar, infine il Consiglio di Stato, che aveva detto basta, dopo la provocazione davvero arrogante di quel 2033 sventolato dai governi dell’avvocato del popolo inginocchiato davanti alle lobby demonizzate a parole. Né ha mai contato l’avvio della costosa procedura di infrazione per la non applicazione della direttiva del liberale olandese Bolkestein, che dalla Commissione Ue è già uscito da molti anni.

Eppure, la questione è molto chiara. Una proprietà demaniale non può essere ceduta sostanzialmente per sempre, perché così si consolida un diritto che diventa una foresta pietrificata che ha già ingessato altri settori di mercato, piegati dalla resistenza di tassisti, ambulanti, notai, farmacisti. Categorie a cui vanno riconosciuti diritti sacrosanti, ma che non possono essere intoccabili. Né può essere una soluzione l’osceno mercato in nero delle licenze alle spalle dello Stato. Tantomeno il delittuoso mercato delle spiagge di cui si sono occupate in questi giorni le cronache nel caso di Sabaudia. La pubblica opinione ha sempre seguito distrattamente la questione, ma si calcola che nel bel Paese dalle tante spiagge, il giro d’affari dei balneari è di circa 15 miliardi, mentre lo Stato ricava affitti complessivamente attorno a 100 milioni, saliti di recente perché prima il canone annuo minimo era di 350 euro e ora è di 2.500. Una spiaggia con vista Faraglioni è un bene pubblico su cui non è ammesso speculare.

Già come accademico, Giavazzi aveva calcolato che la concorrenza negata può costare all’economia italiana un 2% del Pil. Ma, soprattutto, il capitolo concorrenza è uno dei pilastri del Pnrr, ben oltre i soli balneari. L’Ue, peraltro, non si fa prendere in giro, come era accaduto ancora in autunno, dalla elusiva promessa di studiare a fondo un tema ben conosciuto. Qui, è in gioco la storica Italia corporativa sulla quale anche il fascismo aveva prosperato, mentre la nuova Europa di cui l’Italia è stata fondatrice, si basa proprio sulla libera concorrenza, che ha consentito al commissario Monti di infliggere una multa miliardaria a Bill Gates, che ci ha fatto conoscere le auto giapponesi prima vietate, o superando e privatizzando i monopoli ha abbassato i costi internet, modernizzato il sistema postale, messo in gara l’elettricità, i treni e gli aerei. E tuttavia ancora non ci consente di usare Uber o Flixbus come ovunque nel mondo libero. Tutte questioni aspre, che hanno comportato talora dei veri e propri drammi per chi godeva di beni pubblici come una rendita vitalizia, ma siamo l’Italia e non la Corea del Nord.

Ora partirà una battaglia di retroguardia per cancellare questa svolta, e già sentiamo parlare di «espropri» (di un bene già pubblico?), di pericoli di multinazionali che si accaparrano spiagge, farmacie e taxi, come se già questa prima delega non contenesse regole e limiti, nonché l’indennizzo degli investimenti fatti dai vecchi gestori delle spiagge, se perdono la gara, o le garanzie per i 200mila lavoratori stagionali del settore. Ma una gara, se è regolare, si vince se si fa meglio degli altri, se si tutela di più l’ambiente e il servizio all’utente. Il quale ultimo ha sempre tutto da guadagnare da un’economia dinamica, tutto da perdere da rendite di posizione immobili.

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