Confronto farsa
senza accordo

A dimostrazione del fatto che in politica certi rituali non cambiano mai chiunque sia il protagonista sul palcoscenico, a Montecitorio sta andando avanti una trattativa sul programma che serve soltanto a prendere tempo e ad intrattenere il pubblico in sala per consentire ai capi dei partiti di trattare e, trattando, di decidere se sarà Conte o no il nuovo presidente del Consiglio. Esattamente come si faceva ai tempi della Prima Repubblica quando una coalizione andava in stallo. Oggi come allora bisogna prima chiudere
sul nome del presidente del Consiglio e poi su quello dei ministri giacché un nuovo governo significa anche in parte nuovi ministri con entrate, uscite, siluramenti, promozioni, ecc. Insomma, nella Sala della Regina al primo piano del palazzo della Camera dei deputati i capigruppo della maggioranza in crisi convocati dall’«esploratore» Roberto Fico (che però si tira fuori dalla riunione) discutono ma non sanno nemmeno - «Nessuno ce lo ha chiesto» - se i loro lavori dovranno concludersi con un documento unitario.

E quando il Pd propone di scrivere almeno un verbale col nome di Giuseppe Conte, Italia Viva si tira indietro e anzi rilancia tutte le differenze di programma che c’erano un mese fa e che ci sono ancora oggi. Per esempio sul Mes: Italia Viva vuole che lo si utilizzi, i Cinque Stelle dicono no, il Pd punta sul sì ma con cautela per non urtare i Cinque Stelle. Proprio il copione che vediamo rappresentato da mesi e che obbligava Conte a rimandare la discussione parlamentare e la decisione sui famosi 37 miliardi pronta cassa a interesse zero del Fondo Salva Stati da destinare alla sanità.

Come si uscirà da questa trattativa? Con l’incertezza della vigilia e che Fico oggi, salendo al Quirinale per riferire sulla sua missione esploratrice, non potrà che rappresentare, a meno che all’ultimo momento il Conte ter abbia finalmente preso quota. Per dimostrare, come dice Bruno Tabacci che di rituali politici si intende da tempo lontanissimo, che se non si decide prima il quadro politico, non ci sarà una vera trattativa anche sul programma, basta osservare: nel Recovery Plan Italia Viva insiste perché ci siano più fondi per le infrastrutture: guarda caso Renzi ha messo gli occhi sul ministero che ne dovrebbe gestire i cantieri. Inoltre sempre Renzi chiede una diversa gestione dei fondi per la ragione che vorrebbe scalzare dalla sua poltrona, oltre a Conte, anche Roberto Gualtieri, il ministro del Tesoro molto gradito a Bruxelles che il Pd difende a spada tratta. Finché la trattativa su palazzo Chigi non si chiude non ci sarà nessun accordo di programma. E se oggi Fico riferirà a Mattarella che non c’è un accordo, il Capo dello Stato non potrà fare altro che mettere in campo l’ipotesi tecnico-istituzionale sullo schema «Ursula» (tutti quelli che votarono la popolare Ursula von der Leyen alla Commissione europea: Pd, M5S, Italia Viva e Forza Italia). In questo caso a palazzo Chigi andrebbe Mario Draghi: Renzi potrebbe rivendicare il risultato di aver portato al governo l’italiano più prestigioso d’Europa, anche se in Parlamento il suo ruolo risulterebbe non più determinante a causa dell’arrivo dei voti dei berlusconiani e dei «volenterosi» centristi. Ma i grillini sarebbero in grado di stare al governo con ministri azzurri (e con Maria Elena Boschi)? Ecco, questo è un punto molto dolente della questione: il partito di maggioranza relativa in queste ore vive una vigilia travagliatissima con minacce di insubordinazione e persino di scissione. C’è solo un modo per acquietare tali trambusti dei peones pentastellati: basta evocare le elezioni anticipate.

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