Coronavirus, se i tedeschi
imparano dall’Italia

In Germania sono 21.832 al giorno le nuove infezioni da Covid. In Italia 4.197. Con questa differenza: la settimana scorsa al di là delle Alpi erano 10.813, cioè circa la metà mentre qui erano 5.822. Se vogliamo continuare nel raffronto i morti sono 169 dal Reno all’ Oder e da Amburgo a Monaco mentre nel nostro Paese sono 38. Berlino si ritrova ora con numeri simili a quelli vissuti in modo tragico un anno e mezzo fa in Italia. La Germania, nell’immaginario collettivo, è un Paese considerato prudente ed attento ma evidentemente la lezione italiana non è bastata. È difficile far capire che il virus ha un impatto al di là delle esigenze individuali. Anche in Italia ci sono i no vax e fanno tanto rumore ma poi devono rassegnarsi alle sole comparsate televisive.

Oltre non si va. Nel cosiddetto Belpaese è il buon senso che prevale. Ed è una conquista che guida l’azione del governo. Tutti hanno capito che per non ammalarsi o per ridurre l’impatto della malattia l’unica strada è quella della vaccinazione. L’Italia scopre la resilienza all’individualismo esasperato.

Una saggezza della quale il popolo nella sua quotidianità forse non è pienamente cosciente ma che proviene dalla sua lunga storia. Nel pericolo ci si compatta quando emerge la necessità del bene comune. Nei giorni scorsi il ministro tedesco alla Sanità Jens Spahn in visita a Roma ha sentenziato: nella capitale italiana in due giorni mi hanno controllato il Green pass più che in Germania in due mesi. La cogenza del controllo, proprio quello che in Italia manca, diventa in bocca ad un ospite straniero una sorta di virtù nazionale. Ed è il paradosso della pandemia che fa emergere gli italiani come diligenti e i tedeschi inefficienti. E tuttavia in Italia si era già visto che in fatto di salute pubblica l’interesse collettivo fa premio sulla priorità del vantaggio individuale. In nessun Paese europeo la legge antifumo è stata applicata in modo così conseguente come in Italia. Chi l’avrebbe immaginato che il fumatore si sarebbe sottoposto alla tortura di esporsi al freddo e anche all’intemperie per godere di un vizio considerato diritto acquisito? Eppure è successo. L’italiano anarchico e ribelle, così come ama narrarsi, va riconsiderato. Rimane il punto base: è l’emergenza che guida i comportamenti. Non avesse avuto l’Italia il sesto debito pubblico più grande al mondo unito ad una stagnazione economica più che decennale difficilmente si sarebbe affermata una linea di governo che fa dell’autodisciplina lo strumento per rilanciare la crescita e rendere il Paese credibile.

I costi della pandemia non sarebbero stati sostenibili se non vi fossero stati l’azione europea e i fondi del Next Generation Eu. C’è sempre un corsetto che toglie spazi agli esagitati e costringe il Paese alla virtù. E accade in Italia dove i populisti vantano grandi consensi di voto. In Germania l’AfD populista e nostalgica conta su uno zoccolo del 12%, ma è situato in precise regioni, cioè all’ Est. Nel resto della Repubblica Federale i numeri sono da prefisso telefonico. E tuttavia questa sorta di insubordinazione che si esprime nel rifiuto della vaccinazione colpisce tutto il Paese. La convinzione che non si debba ledere i diritti individuali è tale da pregiudicare la salute collettiva come i 96.727 morti stanno a dimostrare. La nuova coalizione di governo rosso-verde-giallo in via di costituzione non osa introdurre l’obbligo della vaccinazione o dell’attestato di guarigione nei luoghi pubblici. Si limita solo al posto di lavoro, ma non ai ristoranti, alle palestre o alle discoteche. È la tirannia dei non vaccinati per dirla con il ministro Spahn. Ed è la contraddizione di un mondo da sempre votato alla stabilità che si riscopre disciplinato nell’indisciplina.

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