Crisi, nulla è deciso
Ma i tempi sono stretti

Come sempre nelle crisi più complicate, il Capo dello Stato non può che affidarsi ad un «esploratore», in genere uno dei due presidenti delle Camere. Sergio Mattarella ha scelto il presidente della Camera Roberto Fico (già sperimentato nel 2018) per verificare se esista la possibilità di rimettere in piedi la maggioranza che si è rotta con il disimpegno di uno dei partiti, Italia Viva, che la componevano. Fico deve tornare al Colle fondamentalmente con una risposta alla seguente domanda: Giuseppe Conte è o no il nuovo possibile presidente del del Consiglio, successore di se stesso per la seconda volta, unico capo del governo capace di guidare un’alleanza del partito di maggioranza relativa, il M5S, prima con la Lega e poi con il Pd?
Dalla risposta a questa domanda dipende il resto della storia. Se Fico tornerà con un accordo fatto su Conte con tutti i contraenti - Pd, M5S, LeU e Italia Viva - la crisi si risolverà in un tempo relativamente breve.

Se invece il presidente della Camera risalirà al Colle dicendo: mi dispiace, Conte non ha una maggioranza, allora si ricomincerà daccapo e i tempi necessariamente si allungheranno. Quest’ultima circostanza significa esattamente il contrario di quanto si è riproposto il Capo dello Stato nella irritatissima (evidente solo per chi lo conosce bene) dichiarazione di ieri sera ai giornalisti al termine del primo giro di colloqui.

Per ora siamo a questo punto. Ora vediamo le tattiche dei vari soggetti in campo. Italia Viva e Movimento Cinque Stelle si sono scambiati lo stesso messaggio che suona così: «Non poniamo veti». Vuol dire che Renzi non mette veti su Conte e i grillini non mettono veti su Renzi (dopo aver detto e ridetto: «Con lui mai più!»). Sono posizioni iniziali che servono per mantenere aperta la strada, non è affatto detto che rispecchino le rispettive reali intenzioni. Tanto è vero che tra i pentastellati la disponibilità a riparlare con Renzi ha già creato subbuglio tra i parlamentari, soprattutto tra quelli, esclusi dal cerchio magico del potere, che fanno capo ad Alessandro Di Battista. Qua e là si minacciano scissioni, rotture, clamorose uscite: vedremo. I grillini in questo momento hanno un’unica idea in testa: evitare le elezioni per non essere massacrati dal voto, tutto il resto è negoziabile; comunque, una ripresa di alleanza con Renzi sarebbe trangugiata con molta fatica (più o meno come la Tav, per intenderci).

Quanto al Pd, la voglia di ricucire con l’ex segretario, Conte o non Conte, è sempre più forte nella consapevolezza che le elezioni forse non sarebbero rovinose per i democratici ma quasi certamente consegnerebbero Palazzo Chigi e il Quirinale del prossimo settennato a Salvini e Meloni, fautori di un governo in aperta contrapposizione con l’Europa. Zingaretti è fermo su Conte ma si predispone a mollarlo qualora la posizione del presidente dimissionario si facesse insostenibile.

Se Conte non ce la facesse e la maggioranza uscente non riuscisse a ricomporsi intorno ad un nome, si aprirebbe tutto il ventaglio delle ipotesi: un governo «Ursula» con dentro tutti coloro che votarono a suo tempo la von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, quindi Pd, M5S, LeU, Italia Viva e Forza Italia (che così romperebbe il centrodestra: ipotesi finora sempre sdegnosamente respinta). Oppure un governo con un premier tecnico (Visco? Cartabia? Draghi? Cottarelli?) e i partiti dell’attuale maggioranza che si ricompone dopo l’eliminazione di Conte.

Tutto attualmente è in movimento e nulla è deciso o pregiudicato. Aspettiamo a vedere cosa riesce a combinare Roberto Fico nella sua esplorazione auspicabilmente rapida.

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