«Ddl Zan», ma l’esito
adesso non è scontato

L’intervento di Mario Draghi in Parlamento dovrebbe aver gettato parecchia acqua sul fuoco delle polemiche scoppiate sulla ormai famosa «Nota verbale» presentata dalla Segreteria di Stato vaticana al governo a riguardo del disegno di legge Zan contro l’«omo-transfobia», già approvato dalla Camera e in discussione al Senato. Il presidente del Consiglio infatti ha, da una parte, ribadito con grande fermezza la laicità dello Stato («che non è indifferenza ma tutela del pluralismo e delle differenze culturali») e la libertà del Parlamento nel legiferare; dall’altra però ha anche ricordato che nel nostro ordinamento esistono tutte le garanzie preventive e successive per il rispetto sia della Costituzione che degli impegni internazionali e dunque anche del Concordato.

Lo stesso Concordato in nome del quale la nota verbale esprimeva la preoccupazione di una possibile lesione dei diritti di espressione dei cristiani, più che una contestazione all’impostazione di fondo della legge. Quindi Draghi si impegna affinché il Concordato (che tutela la libertà della Chiesa) venga rispettato dalla legge e non cede terreno a quanti oggi prendono spunto dalla polemica per dire: basta con i trattati con il Vaticano «e con le sue ingerenze». Da qui se ne deduce che Draghi auspica implicitamente una modifica di quelle parti del ddl che la Segreteria di Stato ha indicato, anche se specifica che nel merito il Governo non si ritiene in gioco e lascia il Parlamento alla sua responsabilità. Conclusione: il testo è «migliorabile» per usare una parola che troverebbe concorde il cardinale Bassetti, presidente dei vescovi italiani.

Se è stato così disinnescato un possibile incidente diplomatico con la Santa Sede, cioè l’ultima cosa che Draghi potrebbe augurarsi se non altro per gli ottimi rapporti con Papa Bergoglio, tuttavia resta irrisolto un punto politico di non poco conto: il disegno di legge Zan sulla carta non ha alcuna possibilità di essere approvato anche dal Senato. Basta fare i conti: sono favorevoli i senatori democratici (38), di LeU (4), di Italia Viva (17) e di quasi tutto il M5S (75). Totale: 134 voti. Maggioranza: 166. Non ci siamo. Se alla Camera l’agglomerato centrosinistra/sinistra/grillini gode di un margine piuttosto confortevole, al Senato non è così. E questo ha consentito al centrodestra di nuovo unito di presentare un testo alternativo (Ronzulli-Salvini) che è parecchio differente da quello del senatore democratico, non solo perché non prende in considerazione la categoria «transgender» ma perché elimina ogni dubbio sulla possibile lesione del diritto di espressione, quella per la quale potrebbe essere considerato discriminatorio (e dunque perseguibile) una affermazione - contenuta in un libro adottato in una scuola cattolica - secondo cui, per esempio, la famiglia si fonda sull’unione di un uomo e di una donna.

Questo tipo di differenza sostanziale potrebbe attrarre non pochi esponenti del centrosinistra, soprattutto nel Pd e in Italia Viva, che oggi accettano il ddl Zan fondamentalmente per una questione di disciplina di partito ma che si sentirebbero più rassicurati dal testo «moderato» promosso dal centrodestra. Tra l’altro i due articoli potrebbero ora essere discussi insieme a Palazzo Madama e questo in qualche modo faciliterebbe una votazione trasversale foriera di possibili sorprese. Il segretario del Pd Enrico Letta si è molto esposto recentemente nella difesa del ddl Zan sulla base di una ripresa identitaria «di sinistra» anche se, prudentemente, ha dichiarato già prima di Draghi la disponibilità al dialogo sul contenuto del provvedimento. Come si vede un dibattito molto aperto e delicato dagli esiti non del tutto scontati.

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