Debito ed energia comuni, avanti piano. Non disperiamo, la strada è aperta

L’emissione di debito comune a livello europeo per fare fronte alla crisi energetica che stiamo attraversando non è diventata realtà, come pure qualcuno aveva sperato alla vigilia del vertice informale dei 27 capi di Stato e di Governo a Versailles. Tuttavia non è ancora il momento di disperare per il futuro di questa idea. Anzi. Ai leader europei riuniti negli scorsi giorni, innanzitutto, va dato atto di aver messo nero su bianco un’accelerazione significativa su dossier fondamentali per la nostra sicurezza e sovranità, cioè energia e difesa.

Sul primo fronte si è ribadita la volontà di ridurre la dipendenza dal gas russo, esortando la Commissione a presentare nelle prossime settimane una strategia più dettagliata in tal senso. Sul fronte della difesa comune, è stata raddoppiata da subito la quantità di aiuti militari per l’Ucraina (da 500 milioni a un miliardo di euro), mentre alla Commissione è stato richiesto di elaborare «un’analisi delle lacune negli investimenti per la difesa» così come di proporre «ulteriori iniziative necessarie per rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea».

Visto che su simili obiettivi si è raggiunta adesso una sostanziale unanimità a livello europeo, e non era affatto scontato, ora si tratta di quantificare le risorse necessarie a perseguirli per davvero. Un primo tentativo lo ha fatto il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi: «Assumendo che il gap che noi vogliamo riempire per ciò che riguarda il bilancio della Difesa è pari allo 0,6 per cento del Pil dell’Unione europea, che è quello che ci separa dal livello deciso nella Nato – ha detto Draghi in conferenza stampa - il fabbisogno finanziario è da 1,5 a 2 e più trilioni di euro nei prossimi 5-6 anni. Questo per rispettare gli obiettivi climatici del 2030 e per metterci in regola con le promesse che abbiamo sottoscritto nella Nato». Da qui discende la successiva considerazione del premier: «Ovviamente i bilanci nazionali non hanno questo spazio di manovra, questo tema l’ho posto in maniera molto chiara. Quindi bisogna trovare un compromesso su come generare queste risorse, su dove trovare queste risorse». La logica del ragionamento di Draghi sempre stringente: se i leader europei hanno raggiunto un accordo sul risultato che intendono ottenere, adesso dovranno trovare una quadra per rendere possibile tale esito. Sarà sufficiente tutto ciò a far crollare le opposizioni dei Paesi cosiddetti «frugali», tra i quali l’Olanda e la Finlandia, che da sempre guardano con sospetto a ogni forma di condivisione del debito?

Impossibile giurarci. Eppure non si può non osservare come, dallo scorso 24 febbraio, giorno in cui le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, siamo stati tutti costretti a rivedere convinzioni e aspettative ben radicate in ogni campo. Il Presidente russo Vladimir Putin, per esempio, ha dovuto prendere atto che è proprio dalla ritrovata unità dei Paesi europei che deriva l’efficacia delle sanzioni economiche e finanziarie contro Mosca. Ancora, gli stessi esperti di energia han dovuto riconoscere che è soprattutto dall’unità dei Paesi europei al momento dell’acquisto di gas e petrolio che potrà venire una forza contrattuale maggiore al cospetto dei fornitori. Non solo. Analisti ed esperti già nei mesi scorsi avevano osservato come nel nostro Continente la ripresa dell’economia dopo il baratro della pandemia da Covid-19 non avrebbe avuto la stessa intensità in mancanza dell’unità inedita mostrata dai Governi europei sul piano di finanziamenti Next Generation Eu. È dunque legittimo attendersi che sull’idea di Eurobond o altri strumenti comuni contro la crisi energetica possa farsi strada una logica simile.

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