Decisioni a Bruxelles, debolezza italiana

ITALIA. Arrivando tutte insieme, le scadenze di rilevanza europea (legge di bilancio, nuovo patto di stabilità, Mes, regole dell’immigrazione) hanno creato un ingorgo decisionale che ha visto comunque chiaramente prevalere i rischi per il nostro Paese.

Per ora, senza però traumi perché i negoziati europei hanno calibrato le decisioni sul calendario elettorale. Quindi, fino alle elezioni europee, niente drammi. Subito dopo, Italia e Francia andranno sotto procedura di infrazione e l’Italia dovrà correggere l’attuale legge di bilancio di almeno 15 miliardi.

La legge di stabilità ha orizzonte visibile fino al 2027 e sarà duro arrivarci, ma ancora possibile. Poi, passate le varie elezioni, bisognerà ripensare tutto. Ma ci penserà chi sarà al Governo nel 2027. Per tutti i Governi di oggi è come se fosse stato comprato qualche anno di tempo. Nell’immediato, dunque, possiamo accontentarci di una legge di bilancio piccola piccola, tutta basata su nuovi debiti ancora consentiti.

Sulle altre scelte scomode, l’Italia ha tentato di rinviare, ma il giochino non è riuscito. Con la velocità che contraddistingue da sempre le loro intese quando si tratta di interessi preminenti, Francia e Germania hanno messo tutti davanti al fatto compiuto, dando per scontato il neppur richiesto «sì» italiano, che per mesi Meloni aveva tenuto in sospeso per una immaginaria partita «a pacchetto» in cui il sì al Mes avrebbe dovuto far seguito all’ottenimento di risultati concreti sul Patto. Neanche per sogno. Giorgetti ha traccheggiato finché ha potuto e poi, buon ultimo, ha firmato un accordo al ribasso scritto da altri. Per cui, poche ore dopo, il no al Mes è diventato una specie di ripicca e il bello è che, tra le tante motivazioni per un gesto senza senso, quella di una ritorsione è paradossalmente la meno grave…

Tutti gli altri portano a casa qualcosa, al massimo con qualche malumore dei Paesi cosiddetti rigoristi (indeboliti dal voto olandese che ha premiato un amico – molto pericoloso– di Salvini, non ancora peraltro in grado di formare un governo). Orban aveva già fatto la sua parte sul bilancio europeo, riverito e ringraziato a suon di miliardi, per essere uscito dalla stanza evitando di porre veti. L’Ungheria i veti può minacciarli e avere un vantaggio, mentre l’Italia non può neanche pensarli, come pure Giorgetti ha tentato di fare in una patetica vigilia del sì definitivo.

E per fortuna che, dopo l’uscita del Regno Unito, pensavamo di aver fatto un passo avanti nella leadership europea, mentre più svelta di noi è da tempo se mai la Spagna, che anche dal Patto sembra essere la più avvantaggiata.

Non è piacevole contare vinti e vincitori di questa vicenda complessa su tre tavoli, più, non dimentichiamo, quello delle scelte comuni in fatto di immigrazione, che ritoccano un po’ Dublino, peccato originale del lontano governo Berlusconi-Tremonti, ma continueranno ad essere onerose per noi.

Ecco, Giorgetti è il vero perdente di tutta questa vicenda, perché la questione Mes è un suo disastro personale (difficile immaginare la faccia con cui si presenterà al prossimo vertice europeo), peggiorato dal fatto che il vincente è il segretario del suo partito, a sua volta però condizionato dai pasdaran Borghi e Bagnai, no Euro e no Ue (ma sì ai mille miliardi di agevolazioni europee per l’Italia), che fanno il tifo da sempre contro Bruxelles e sognano la cancellazione di tutte le sorprendenti aperture realiste di Meloni, anch’essa quindi tra gli sconfitti. Politicamente, il 2024 si prospetta l’anno dei (costosi) dispetti tra alleati. Meloni quando e su cosa la farà pagare a Salvini? E quanto questo sarà facilitato dagli scavalcamenti «a sinistra» (le virgolette sono ironiche) di Conte rispetto a Schlein? Senza contare che i veri sconfitti politicamente sono i moderati dei due schieramenti: l’impotente Forza Italia delle astensioni accompagnate da giuramenti di fedeltà eterna a FdI e Lega e i riformisti del Pd, che pure un anno fa avevano vinto un Congresso interno e ora sono spettatori paganti della rincorsa ai pentastellati.

È un intero sistema politico in crisi quello chiamato a giocare partite decisive per il Paese.

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