Decreto aiuti , il no 5 Stelle non ferma il governo

Con l’ultimo decreto il governo ha fatto un grosso sforzo per parare le conseguenze economiche del caro energia e della guerra in Ucraina. Purtroppo questo sforzo è messo in secondo piano da nuove polemiche all’interno della maggioranza che portano a galla vecchie contraddizioni. Riassumiamo gli aiuti contenuti nel decreto: tutti si aspettavano un decreto da 6 miliardi, forse 7, addirittura 9, e invece ne è arrivato uno da 14 miliardi, con ristori e provvidenze che finiscono per coinvolgere quasi la metà della popolazione nazionale.

Si dice che questo provvedimento sia l’effetto del confronto con i sindacati, dello stato di grave agitazione delle imprese, dei rischi che stiamo correndo a causa delle forsennate dinamiche geopolitiche che mettono insieme il costo dell’energia e delle materie prime, le sanzioni, il blocco del mercato russo, il rallentamento della ripresa (che tuttavia non si è fermata). Con tutto ciò, Draghi ha mantenuto la sua posizione di non procedere ad un nuovo scostamento di bilancio ma di trovare le risorse necessarie altrove, in questo caso in una tassazione più pesante sugli extra-guadagni delle imprese energetiche. Questo ha portato al bonus da 200 euro per le bollette, al taglio ulteriore delle accise, agli aiuti alle imprese, al prolungamento del superbonus. Insomma, una risposta chiara al Paese, un segnale di attenzione alle difficoltà di famiglie e imprese, qualcosa da rivendicare politicamente, come ha fatto il Pd nella maggioranza e persino Fratelli d’Italia dall’opposizione.

Peccato che il M5S non abbia votato in Consiglio dei ministri il decreto nonostante le insistenze del presidente del Consiglio e degli altri partiti. Motivo: nel decreto ci sono le norme che consentono al sindaco di Roma, con nuovi poteri, di gestire il ciclo dei rifiuti anche mediante la costruzione di un termovalorizzatore. Si sa che i grillini sono contrari a questi impianti (un po’ come erano contro il Tap, la Tav e tante opere pubbliche), per cui hanno votato contro. «Siamo stati messi nella condizione di votare no» ha protestato Conte accusando dunque Draghi e i ministri di non aver voluto accettare la proposta di accantonare la norma su Roma. «Non è possibile» ha in effetti risposto Draghi.

Le parole del premier hanno scatenato un putiferio pentastellato. Secondo i senatori M5S addirittura Draghi avrebbe «calato la maschera», con la sua «irricevibile perentorietà» che darebbe «uno schiaffo» alla volontà del Parlamento.

Il punto è che l’episodio - in controtendenza rispetto alla necessità di mostrare agli italiani un governo unito - rientra in un contesto di costante brontolio dei grillini. Non dimentichiamo che sono giorni che Conte chiede di non mandare agli ucraini «armi offensive come i carri armati» e ripetutamente sollecita («pretende») che il presidente del Consiglio si rechi in Parlamento a spiegare la linea del governo sulla guerra, peraltro votata alla quasi unanimità dal Parlamento solo qualche settimana fa. Terzo elemento: prendendo la parole al Parlamento europeo, Draghi ieri ha ancora una volta criticato la normativa sul 110 per cento che, come è noto, a lui non è mai piaciuta pur dovendola sopportare in quanto considerata irrinunciabile dai grillini.

Le parole del premier hanno scatenato un putiferio pentastellato. Secondo i senatori M5S addirittura Draghi avrebbe «calato la maschera», con la sua «irricevibile perentorietà» che darebbe «uno schiaffo» alla volontà del Parlamento. Insomma, tamburi di guerra risuonano nell’accampamento di Conte e dei suoi sodali (non di Di Maio, apertamente estraneo a questa linea polemica). Come se ne uscirà? Tirando avanti così fino a che sarà possibile cercando di fronteggiare gli ostacoli uno per volta. Alla luce di queste polemiche, peraltro, l’intenzione manifestata da Salvini di andare a Mosca a parlare con Putin sembra uno scherzo. Anche perché la cosa è stata smentita nel giro di ventiquattr’ore.

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