Delitto di Giulia, punto di svolta

ITALIA. Sarebbe bello che il dolore e il raccapriccio di un intero Paese facesse uscire Giulia Cecchettin dalla cronaca, che l’ennesimo femminicidio diventasse un punto di svolta, di consapevolezza di tutti gli uomini di fronte alla propria concezione dell’altro sesso.

I giornali riportano i particolari raccapriccianti, la violenza cieca nelle ultime ore di vita della ragazza di 22 anni uccisa il giorno della sua laurea, uno dei momenti più belli della propria esistenza, per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, arrestato ieri mattina in Germania durante la sua folle fuga. Pare che il giovane non accettasse che Giulia si trasferisse lontano dal piccolo paese dove viveva, assumendo toni e gesti sempre più violenti dopo la separazione. Pare anche che si sentisse inadeguato dopo il traguardo della laurea raggiunto dalla fidanzata, che sentisse come un’umiliazione la differenza di livello di studio.

A ben vedere non accettare la fine di un rapporto è già di per sé un atto violento, perché sfocia inevitabilmente nella costrizione. Ma se non si è nemmeno disposti ad accettare un trasferimento per studio della propria donna fino a raggiungere comportamenti patologici e poi trasformarsi in un rabbioso assassino che si è bruciato la sua esistenza e il suo futuro, allora vuole dire che dovremo scavare nell’abisso di un male troppo banale, che dobbiamo chiederci perché, come è possibile, come fare perché non si ripeta mai in nessun altro. Non dobbiamo rassegnarci al male, magari pensando che a noi non accadrà mai, perché noi siamo immuni da questo male, che le cose, se accadono, accadono ad altri. Amore e violenza non possono stare insieme, ma quest’anno siamo già a 100 femminicidi, un numero intollerabile, allucinante, che ci dice che le leggi esistenti - pur molto severe - non sono sufficienti a prevenire questa pandemia di delitti. Quante donne sono prigioniere della paura di stare accanto a un potenziale assassino, possessivo e morboso? La mentalità del possesso è ancora ben presente tra noi uomini, colpisce che lo sia anche in un ragazzo nato dopo il Duemila, fa venire il dubbio che questo machismo patriarcale finisca per coinvolgere perfino adolescenti.

Non sappiamo ancora se quella violenza cieca e bestiale fosse stata premeditata, ma non si è trattato certo di un raptus. E allora quali erano i segnali che una comunità intorno a lui doveva cogliere? Perché non si diventa lupo in una notte. Possibile che a 22 anni non si sia in grado di rompere una relazione, come succede a tanti, forse a quasi tutti (non possiedo statistiche in materia, la mia è una valutazione basata sulla vita)? Poiché sarà proprio quella rottura a farci crescere, a capire il senso della libertà di una donna e in fondo anche della nostra. E qui veniamo al punto. Finché non capiremo che l’amore non è possesso (come purtroppo è addirittura legge in molti Paesi ancora oggi), che la propria moglie, compagna, fidanzata non è proprietà, ma un individuo libero di abbandonarci quando lo ritiene opportuno, ci saranno ancora femminicidi.

Denunciare, sempre, è certamente un imperativo. Ma sarebbe bello, anzi doveroso - vista l’ondata di sdegno e di indignazione che sale dal Paese, oltre che di profonda pietà per due famiglie rovinate - che Giulia uscisse dalla cronaca, che il suo martirio e il suo sacrificio diventassero un punto di svolta, un capitolo chiuso di una storia italiana di un patriarcato duro a morire da cui sono nati solo frutti avvelenati, i fiori del male che hanno generato questa tragedia e tante altre. Imparare a riconoscere la libertà dell’altro, rispettandone la dignità, è il primo passo in questa nuova direzione. Lo dobbiamo a Giulia, figlia di noi tutti, persa nel fiore degli anni.

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