Democrazia vitale
priorità assoluta

È arrivata la convocazione, da parte del presidente della Camera dei deputati, del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, per l’elezione a scrutinio segreto del nuovo presidente della Repubblica. Non ho rivelazioni da insider, né previsioni; solo riflessioni a partire dalla Costituzione e dal contesto politico. Anzitutto: benissimo ha fatto Mattarella a declinare inopportuni inviti a un doppio mandato, ancorché parziale. Non c’è, è vero, un divieto espresso a riguardo. Ma dalla Costituzione si ricava chiara la preoccupazione di evitare che il presidente orienti il suo mandato per compiacere una specifica maggioranza che lo possa poi ri-eleggere. È in fondo la stessa preoccupazione alla radice del semestre bianco: evitare incroci pericolosi tra elezioni del Parlamento, seguente formazione di maggioranze di Governo, ed elezione presidenziale.

Un mandato lungo (7 anni), iniziato in età non verde (almeno 50 anni), e la previsione di un seggio di senatore a vita denotano la volontà della Costituzione di individuare un percorso di garanzia, al riparo da tentazioni di parte politica.

La priorità - temo illusoria - è garantire un presidente che abbia in sé il respiro della Repubblica, e cioè di una comunità che non è solo Stato, ma che è insieme società e istituzioni, autonomie sociali e territoriali. Tale respiro sarebbe vitale soprattutto in tempi di tragico ripiegamento del sistema partitico su se stesso, in cui questo è stato incapace di raccogliere la sfida della riforma elettorale, della riforma della rappresentanza – dopo il grido di disperazione del taglio del numero dei parlamentari – e di affrontare la madre di tutte le riforme: la democratizzazione dei partiti stessi.

Ci sarebbe ormai da domandarsi seriamente a quale funzione positiva adempiano i partiti: non si assumono responsabilità di Governo, trincerati dietro una leadership tecnica; non effettuano alcuna seria selezione della classe politica; non socializzano più la base dei cittadini alle questioni politiche. Il sistema partitico resta un teatrino sempre meno credibile e appassionante. Purtroppo prosegue anche senza spettatori... Tale soffocante ripiegamento è già ora, e in quanto tale, fattore di condizionamento negativo dell’operato del presidente: anche sotto la guida sensibile e competente di Mattarella non si sono saputi evitare, ad esempio, l’opacità inaccettabile della crisi del Governo Conte II e il ripetuto svilimento del Parlamento (con voti di fiducia e compressione dei tempi di discussione).

In simile contesto, è fondamentale che il presidente non sia un ulteriore elemento di chiusura del sistema partitico su se stesso, ma una valvola di apertura, dialogo e traspirazione tra interno istituzionale ed esterno. È – mi pare - una questione ancora più importante di quella di genere, ma non incompatibile con la stessa. In questa logica, alcuni nomi che circolano sarebbero davvero deleteri. In alcuni specifici casi, poi, per elementari ragioni di etica pubblica, non se ne dovrebbe nemmeno parlare…

Sotto questa luce va anche letta l’ipotesi, accreditata, di Draghi al Quirinale: potrebbe certo essere un garante esterno, perché è indipendente dal sistema partitico; sarebbe anche garante della cornice europea in cui la Repubblica è incardinata, più che della sua anima costituzionale. Ma ormai la cornice europea è parte del quadro. Il rischio vero sarebbe se Draghi fosse pensato presidente con l’intento di traslocare l’indirizzo politico da Palazzo Chigi al Quirinale. Sarebbe deleterio, perché rischieremmo di avere un presidente di garanzia del sistema partitico, da questo usato come scudo protettivo che esoneri le forze politiche dall’assunzione di responsabilità di governo, anziché – come vorremmo che fosse - un richiamo alla logica costituzionale delle istituzioni (e della separazione dei poteri) e al loro legame con una democrazia vitale, in Italia e in Europa.

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