Desideri e diritti, cattolici e politica

Italia. Non c’è dubbio che la neo segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, abbia saputo movimentare assai velocemente il dibattito politico del nostro Paese, mettendo subito sul tappeto, e con un certo vigore, i temi dei diritti civili, omogenitorialità e maternità surrogata in testa.

E pare che l’approccio utilizzato, non certo soft, abbia già fruttato più di un milione di iscritti, anche se resta da stabilire se il presunto bottino sia da attribuire ai modi o ai contenuti della sua azione politica.

Certo è che il ciclone Schlein pone al centro della riflessione, almeno per l’area moderata del Paese, un paio di temi molto forti. Il primo è quello dell’affermazione perentoria dei diritti «tout court», in particolare quelli cari alla sinistra radicale, e che la guida del nuovo Pd ha voluto sottolineare fin dall’inizio: i diritti della comunità lgbtq+, il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, la liberalizzazione delle droghe leggere, il fine vita. Che siano argomenti su cui sia necessario discutere, è fuor di dubbio, tanto che per alcuni di questi anche la suprema Corte ha più volte ribadito al Parlamento la necessità di colmare il vuoto legislativo esistente. Ma che la discussione debba essere rapida e concludersi con l’attribuzione «senza alternative» di ciò che viene reclamato è tutto da vedere. Siamo così sicuri che stiamo parlando di diritti, intesi cioè come comportamenti sociali che devono essere garantiti e tutelati proprio perché appartenenti a quel complesso di principi morali che regolano i rapporti di una società civile? Non è che, all’opposto, si vuole travestire da diritto ciò che in realtà è un desiderio irrealizzabile, e proprio perché tale, lo si vorrebbe garantire ad ogni costo, aggirando il diritto naturale, in tutti i sensi?

L’impressione è che si continui pervicacemente a confondere un desiderio sommamente individualistico con un diritto collettivo, che invece è tutt’altra cosa. Si tende, cioè, a far passare per diritti sociali e universali ciò che in realtà è solamente il desiderio di qualcuno. Non si coglie più - perché la nostra società non è più ancorata ad alcun valore che non sia un distillato di egoismo e di qualunquismo - il valore antropologico dell’uomo, e in una società siffatta, poco propensa a una profonda riflessione sul senso della vita e della morte, tutto diventa liquido, per non dire fluido. Capita allora, e sempre più spesso, che i «dirittisti» sbandierino le parole di Papa Francesco a sostegno delle loro tesi, scambiando la comprensione della Chiesa nei confronti di chi diverge dalla dottrina cattolica, con una condivisione dei valori, che in realtà è ben lontana dagli intendimenti del Pontefice. Del resto, ci dovranno pur essere principi e valori non negoziabili, oltre i quali non sia pensabile andare. Non si potrà sempre pensare - pur di esserci, anche se irrilevanti - di abbassare in continuazione l’asticella alla ricerca del male minore o di qualche compromesso che quieti consensi e coscienza.

E qui si innesta il secondo tema. La presenza e il ruolo dei cattolici in politica. Ma, potrebbe obiettare qualcuno, esistono ancora i cattolici? Domanda provocatoria e forse un po’ scontata, a cui peraltro non è difficile rispondere positivamente, vista la grande mole di lavoro che il mondo cattolico produce nella dialettica civile e culturale del nostro Paese, per non parlare delle opere che quotidianamente l’associazionismo cattolico svolge a favore dei più fragili e dei più bisognosi. Certo, tra chi è impegnato su questo fronte non tutti sono cattolici, ma la stragrande maggioranza lo è. La riflessione, dunque, sembrerebbe «ridursi» al solo ambito politico.

Ma la partecipazione attiva dei cattolici alla politica (secondo l’intuizione di Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare il 18 gennaio del 1919 con l’appello «a tutti gli uomini liberi e forti») ha ormai esaurito il proprio tempo oppure è la politica che non è più in grado di «attirare» l’attenzione e l’interesse dei cattolici? Da qualunque parte la si guardi, essendo noi cattolici chiamati a contribuire alla costruzione del bene comune e a difendere sempre e comunque la dignità della persona, la responsabilità del disimpegno politico non può che essere nostra, per via di una sorta di incapacità nell’avere un pensiero forte e condiviso sui temi che ci stanno a cuore, nell’esprimerlo con i linguaggi che il tempo attuale richiede e, soprattutto, con l’autorevolezza necessaria.

E allora, se i cattolici non possono più sentirsi davvero rappresentati né a sinistra né a destra (inutile brandire crocifissi se le politiche migratorie finiscono per mettere realmente in croce chi sale sui barconi della speranza diretti sulle nostre coste), non sarebbe giunta l’ora di una nuova proposta politica, minoritaria certo, ma coraggiosa, per riportare al centro della discussione politica quello che davvero serve a favorire una crescita sociale, civile ed economica di un Paese? Del resto di aree cattoliche in contrasto con il radicalismo imperante ce n’è più di una.

«Non è auspicabile - diceva nel 2017 l’allora presidente della Conferenza episcopale dei vescovi, il cardinale Gualtiero Bassetti - che, nonostante le diverse sensibilità, i cattolici si dividano in “cattolici della morale” e in “cattolici del sociale”. Né si può prendersi cura dei migranti e dei poveri per poi dimenticarsi del valore della vita; oppure, al contrario, farsi paladini della cultura della vita e dimenticarsi dei migranti e dei poveri, sviluppando in alcuni casi addirittura un sentimento ostile verso gli stranieri. La dignità della persona umana non è mai calpestabile e deve essere il faro dell’azione sociale e politica dei cattolici». Dunque, che fare?

Secondo un recentissimo sondaggio di Youtrend per SkyTg24 (datato il 13 marzo scorso), per 24 italiani su 100 «c’è bisogno di un partito forte che faccia esplicito riferimento ai valori cattolici» (54 su 100 non ne sentono il bisogno, 22 su 100 non si sono espressi). L’idea di un forte partito cattolico è ben vista sia a destra sia tra gli elettori del M5S, mentre al centro (per ovvi motivi di «concorrenza») e a sinistra sono fortemente contrari gli elettori di Az/Iv e del Pd. Tra i partecipanti al sondaggio, il 62% si riconosce nella religione cattolica, il 50% sente «molto» o «abbastanza» rappresentate le proprie sensibilità religiose, il 40% si dice invece «poco» o «per nulla» rappresentato. Ma due settimane più tardi, il 27 marzo, un nuovo sondaggio di Youtrend, questa volta sulla maternità surrogata, sembra confondere un po’ le acque dato che il 40% dei partecipanti si dice favorevole all’«utero in affitto».

E allora? Avrà ragione Stefano Zamagni, che considera «pie illusioni» quelle di quei cattolici che credono «di poter essere il lievito che entra nella pasta dei vari partiti per condizionarne, almeno in parte, i programmi», persuasi «di poter esercitare con successo il potere come influenza, prescindendo dal potere come potenza» (che i numeri risicati certo non consentono)?

Oppure Pierluigi Castagnetti, convinto che pur restando dentro il nuovo Pd, i cattolici saranno in grado di far valere le proprie ragioni? Non è che in un partito «democratico» per definizione valga il principio di maggioranza, e dunque chi è in minoranza non potrà mai vedersi riconoscere alcunché, se non per gentile concessione, e comunque non su temi rilevanti?

O, infine, avrà ragione chi sostiene che i cattolici non hanno valori propri da difendere, ma sono chiamati a difendere la tenuta complessiva dell’umano? Che tutti i valori sono negoziabili e che nelle grandi questioni etiche non sia in tanto gioco il pensiero della Chiesa quanto una visione antropologica dell’umano comune?

Ma il nostro è un tempo che non riconosce un’etica comune, e non condividendo principi etici universali finisce per dividersi tra egoismi e relativismi, liquefacendosi nei personalismi. Per i cattolici la sfida è «tutta» qua... Come affrontarla (e con chi) resta il vero problema.

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