Disparità, le leve in mano alla politica

ITALIA. Il turista che passa davanti a Palazzo Vecchio a Firenze e vede il manifesto del Festival dell’Economia civile chiede distratto con una battuta: «Perché, esiste anche un’economia incivile?». La risposta seria è «sì».

È l’economia che produce «scarti e scartati», nella definizione di Papa Francesco. Ovvero, diseguaglianze sempre più profonde ed evidenti. Correggerle non è impossibile, anche se tutt’altro che semplice. Sono chiamate in causa le ragioni quotidiane dell’impresa e del lavoro. Le politiche economiche, che per correggere storture, come l’inflazione, rischiano di acuire altri divari, tanto da far dire al premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz che «l’aumento dei tassi non è la soluzione», o almeno, precisa, lo è fino ad un certo punto. Ancora, sono chiamate in causa le regole del gioco e quindi la politica, che spesso ha finito e finisce per cedere il passo alle ragioni del capitalismo, anziché avere il coraggio di definire e difendere norme più eque incise, per usare le parole ancora di Stiglitz, in «leggi forti». Vale a livello dei singoli Stati così come a livello sovranazionale e globale.

E qui emerge un altro aspetto chiave dei giorni nostri nella lotta alle diseguaglianze. Riguarda gli esiti della globalizzazione che dagli anni Novanta in poi ha allargato gli scambi commerciali e ha distribuito le produzioni nel mondo, alla ricerca di economie di scala, in altre parole risparmi sui costi, in genere in Paesi poveri e in via di sviluppo. Al netto della riscoperta delle filiere corte indotta dalla pandemia per rimediare ai problemi di approvvigionamento che ne sono conseguiti, resta aperta una questione di fondo: la globalizzazione ha «regalato» ai Paesi meno sviluppati quelle che l’economista Elena Beccalli definisce «esternalità negative», ovvero conseguenze indesiderate sul piano ambientale e sociale. Qui sta uno dei passaggi cruciali per il riequilibrio delle diseguaglianze mondiali e finora, come dice Beccalli, «se n’è parlato troppo poco».

Fin qui l’economia. Ma non tutto in tema di disparità fra chi ha di più e chi ha di meno si risolve nel mercato. Non è un caso che al Festival di Firenze si sia parlato a più riprese anche di scuola e di salute, due beni fondamentali per lo sviluppo integrale della persona. Eppure due beni che sempre più rischiano di essere distribuiti in modo diseguale. A San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, la sindaca Isabella Conti ha investito per abbattere le rette dell’asilo nido e rendere l’accesso libero e gratuito per tutti: il nido è scuola, sottolinea con forza, citando studi che dimostrano come la sua frequenza abbatta nel tempo l’abbandono scolastico. Da un piccolo esempio di visione inclusiva e di pari opportunità dell’educazione e dell’istruzione, all’estremo opposto di prestigiose università americane dove per l’accesso non si guarda al reddito, ma agli studi pregressi e il risultato è lo stesso: solo i ricchi hanno le informazioni necessarie e la possibilità di far seguire ai figli scuole di alto livello fin dalle elementari. E qui casca la meritocrazia, che è buona se dà realmente a tutti uguali possibilità di mostrare quanto si vale, a prescindere dal portafoglio.

Il nostro sistema scolastico è per fortuna ancora lontano dagli estremi a stelle e strisce, anche se la spesa pubblica su questo capitolo (circa 50 miliardi all’anno, di gran lunga inferiore agli 80 mal contati che solo nel 2022 abbiamo dovuto pagare in interessi sul debito pubblico) è inferiore alla media europea. È sempre più evidente, invece, il rischio americanizzazione nella sanità: liste d’attesa lunghissime che si accorciano se si paga. Ancora una volta le leve per definire le regole del gioco sono in mano alla politica, se vuole usarle, ma anche alla società.

Tra le tante distanze scandagliate dal Festival dell’Economia civile c’è anche quella dalla politica, maturata sulla scorta di mille delusioni accumulate nel tempo. Ma, è il messaggio di Firenze, solo un ricoinvolgimento dei cittadini, e tanto più dei giovani, nella cosa pubblica potrà evitare che il potere finisca nelle mani sbagliate. Quanto ai corpi sociali cosiddetti intermedi, fra le strade da percorrere indicate dal Festival c’è quella dell’innovazione sociale. A volte si ha quasi la sensazione che, come sul finire dell’Ottocento, ci sia molto bisogno di ricostruire dal basso, dando risposte e opportunità sociali là dove le porte si sono chiuse o si stanno chiudendo.

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