Doping Russia
Politica e sport

Ci mancava anche lo scandalo del doping nello sport per isolare ulteriormente la Russia proprio adesso che sono in corso tentativi di riavvicinarla all’Europa e all’Occidente e non buttarla tra le braccia dei cinesi. La decisione dell’Agenzia mondiale anti-doping (Wada) è stata presa all’unanimità, segno che qualcosa di veramente grave è davvero avvenuto: sarebbero state presentate prove false e vi sarebbero state delle manomissioni di dati di laboratorio. Mai nello storia dello sport un Paese aveva subito una condanna così pesante. La Russia, però, è recidiva. Ecco la ragione di tanto rigore.

Le reazioni federali sono improntate alla massima difesa ed all’annuncio che entro 21 giorni verrà «contestata» la decisione del Wada. Di «isteria anti-russa» parlano in tanti come di «politicizzazione dello sport». Tuttavia, nelle giornate passate, si era assistito ad un inatteso scambio di accuse tra il ministero dello Sport e l’Agenzia anti-doping nazionale, Rusada. Il capo di quest’ultima, Jurij Ganus, aveva previsto la condanna ed aveva ribadito alla vigilia della decisione di Losanna che «lo sport pulito è la sua missione».

L’opinione diffusa tra la gente è che comunque gli stranieri ce l’abbiano con la Russia, poiché essa ha vinto tanto nello sport in questi ultimi anni ed occorre fermarla. Il risultato di questo pasticcio è che molti atleti russi saranno costretti in futuro ad allenarsi sempre più spesso all’estero e qui fare le prove anti-doping necessarie per partecipare alle competizioni internazionali. Oppure, documenti alla mano, dimostrare di «essere puliti» ed essere estranei a quest’ennesimo scandalo.

Sui mass media federali ci si domanda poi che cosa ne sarà adesso della partecipazione ai campionati europei di calcio 2020, una sede è San Pietroburgo, ed ai mondiali del Qatar 2022. Anche la Russia del pallone sarà bandita? Nel recente passato gli atleti russi, che sono riusciti a non farsi travolgere dal ciclone doping, hanno preso parte alle competizioni internazionali – quando ufficialmente, invece, il loro Paese era squalificato – gareggiando sotto la bandiera dello sport internazionale.

Vincendo, però, non hanno potuto vedere il loro vessillo tricolore alzarsi sul pennone più alto negli stadi o ascoltare l’inno nazionale. E proprio qui sta il nocciolo della questione. A molti nel mondo dello sport non è affatto piaciuto cosa è successo a Kazan alle Universiadi 2013, quando i padroni di casa hanno presentato una squadra di professionisti invece che di universitari, stracciando tutti ed assicurandosi ben 292 medaglie, di cui 155 d’oro.

Su quanto avvenuto alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014 sono stati scritti fiumi di inchiostro. Anche qui, prendendosi la rivincita sui disastrosi precedenti Giochi di Vancouver 2010, la Russia ha surclassato la concorrenza imponendosi nel medagliere finale. Agenti dei servizi segreti, gli eredi dell’ex Kgb di memoria sovietica, avrebbero operato all’interno dei laboratori per l’analisi del doping, come ha denunciato un funzionario russo, rifugiatosi negli Stati Uniti.

Nel febbraio 2014 la ventata di nazionalismo ed orgoglio patriottico per quelle giornate gloriose di vittorie sportive fece impennare il rating del presidente Putin a poche ore dall’«annessione» della Crimea e dall’inizio della guerra nell’Est dell’Ucraina, in Donbass. Ma già nel 2005, durante il secondo mandato, si era tentato di sfruttare l’organizzazione a Mosca del campionato europeo di basket per club per portare entusiasmo nelle ore in cui il Paese celebrava il 60° della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Allora andò male. Anche nell’epoca della globalizzazione e di Internet, in conclusione, «pane e circo» rimane una strategia politica sempre attuale. Il problema è che oggi nessuno è più disposto a chiudere gli occhi davanti ai «Grandi» del passato.

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