Dopo il decreto
la prova Mes

È un parto particolarmente difficile e travagliato ma sembra – salvo sorprese notturne – che stia arrivando a conclusione: l’ex decreto «Aprile» poi ribattezzato «Rilancio» per non doverlo chiamare «Giugno», dovrebbe vedere la luce in queste ore dopo un lunghissimo, faticoso e complicato negoziato politico tra le forze di maggioranza sulle più varie questioni. Il ministro del Tesoro ha annunciato che sono stati sciolti tutti i «nodi politici». Vedremo se è davvero così. Si tratta di dividere i 55 miliardi di euro di maggior spesa (in deficit) destinati ad attutire i danni del virus, tra tutti i soggetti che sono stati colpiti o che lo saranno nei prossimi mesi, in questo caso particolarmente il mondo del turismo.

E una distribuzione di questo genere, si sa, è complessa perché ogni forza politica ha le sue battaglie identitarie, i suoi elettori, i segmenti sociali di riferimento. Ci sono state discussioni sul salvataggio delle banche decotte (contrarissimi i grillini che non potevano rimangiarsi le polemiche su Banca Etruria) e sui migranti in agricoltura da regolarizzare per non perdere i raccolti (motivo per il quale la renziana Bellanova è ancora ad un passo dalle dimissioni in polemica, anche qui, con i grillini – contrarissimi alle sanatorie).

E ci sono state contrapposizioni su come articolare il bonus turismo e su quanti e quali aiuti dare alle imprese. E proprio da questo fronte, quello delle associazioni dei datori di lavoro a cominciare dalla nuova Confindustria del lombardo Carlo Bonomi, sono arrivate al governo le accuse di dare «soldi a pioggia», in maniera assistenzialistica, senza un criterio veramente utile alla ripresa economica mediante gli investimenti produttivi. Ieri sera il ministro Gualtieri, in una pausa dei lavori, ha annunciato un provvedimento «corposo» capace di sostenere l’economia: gli sconti sull’Irap alle imprese (non tutte), i contributi a fondo perduto alle Pmi, i soldi agli autonomi, l’Imu tagliata agli alberghi, le risorse per gli ammortizzatori, starebbero – secondo il ministro – a testimoniare che si è fatto tutto il possibile, anzi di più. E Gualtieri ha voluto rispondere alle tante critiche di lentezza e inefficacia dei provvedimenti fin qui approvati.

Ora ci dovremmo attendere una certa rapidità da parte dello Stato: speriamo che sia davvero così. Il tempo a disposizione del governo per evitare una clamorosa crisi sociale sta scadendo, forse anzi è già scaduto, e ogni ritardo, anche di un solo giorno, è un guaio e una colpa verso un Paese piegato prima dalla paura del virus e adesso da quello della indigenza. Per questo la lunga elaborazione del decreto (che doveva essere varato dopo Pasqua, ricordiamocelo) ha tanto irritato l’opinione pubblica e le organizzazioni sociali che hanno martellato Palazzo Chigi e via XX Settembre.

Oggi conosceremo nel dettaglio il massiccio testo di centinaia di pagine e di articoli, e vedremo se e quale compromesso è stato effettivamente raggiunto tra democratici, grillini, sinistra e renziani, e chi potrà esibire un dividendo politico. Hanno cominciato i pentastellati ieri sera rivendicando i fondi per la scuola e i 16 mila nuovi docenti. Gli altri partiti faranno la stessa cosa. Ma tutti loro sono attesi alla prossima prova divisiva: il Mes. Utilizzarlo o no? Chiedere o no quei 36 miliardi? Sembra che si stia diffondendo un certo pragmatismo, non solo tra i contrari della maggioranza (il M5S) ma anche in parte dell’opposizione (la Lega delle regioni del Nord). Quei soldi servono, e il prestito europeo è a tasso zero. Si tratta di capire se Conte riuscirà a portarli a casa senza che nessuno perda la faccia, a cominciare dal suo partito di riferimento che è pur sempre il Cinque Stelle. Che il presidente del Consiglio si sia convinto da tempo dell’inevitabilità della scelta era chiaro da tempo. Le discussioni infuocate di queste ore sui soldi che non bastano dovrebbero avergli facilitato il compito.

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