Draghi e la realtà virtuale dei partiti

Da quando c’è Mario Draghi, la politica italiana sembra affetta da una sorta di strabismo: con un occhio si guarda al Governo, oggetto di un elogio permanente – talora persino acritico - con l’altro al conflitto permanente dei partiti, ora fortissimo anche dentro le coalizioni. Due mondi, due comportamenti, due calendari diversi: Draghi che si occupa dell’oggi, i partiti che pensano alle elezioni, amministrative e poi politiche, forse nel 2023. Sarebbe sbagliato, perché democraticamente rischioso, contrapporre seccamente virtù (Draghi) e vizio (i partiti).

E’ fisiologico che i partiti rivendichino la propria natura, e occorre aver rispetto di queste differenze, ma mancano leader capaci di cucire in prospettiva interessi di parte e generali. C’è tutto un farsi la guerra su bandierine e simboli, come se l’agenda Draghi fosse una fastidiosa incombenza e non una svolta valoriale. Non c’è bisogno che Letta insista tutti i giorni sul suo essere diverso da Salvini. È cosa nota, mentre sarebbe più utile che i due si confrontassero su quanto di permanente dovrà restare delle scelte fatte oggi dal Governo da entrambi sostenuto. Si è finalmente capita l’importanza dell’Europa o alla prima occasione torneranno fantasie anti Euro? Viva la Meloni che almeno un’idea, sarà anche vecchia, ce l’ha: confederazione anziché federazione.

Se l’Italia ha bisogno del Recovery, se le nuove generazioni a cui il piano è intestato non possono ricevere solo i debiti, le riforme non sono un capriccio contingente ma una necessità. I partiti non possono far finta che quello sia un pianeta, o un Quirinale, dove far scendere un bel giorno il marziano Draghi e poi proseguire nella galassia dell’irresponsabilità. Il tempo dei sogni è finito con reddito di cittadinanza e quota 100. Il primo non ha creato un posto di lavoro, ha lasciato fuori (fonte Caritas) almeno il 54% dei poveri veri e regalato reddito a un terzo che non ne aveva diritto. Il secondo, (fonte INPS) ha rappresentato un trasferimento netto di risorse a benestanti, dipendenti pubblici, uomini, a scapito di redditi bassi, autonomi, agricoltori, donne. Autogol leghista e rivalutazione della Fornero.

Quanto l’agenda Draghi sia il mondo nuovo dentro il quale l’Italia è obbligata a muoversi è concetto che fatica invece ad emergere, e lo si nota ogni volta in cui le due linee – governo e partiti – si incrociano.

In questo, la tragicommedia pentastellata raggiunge quote sublimi. Da mesi alla ricerca di una qualsiasi linea politica che non sia la generica invocazione di supposti «valori» perduti (quali, visto che il nuovo Statuto invoca il bando del turpiloquio?), i grillini sembrano avere trovato in Conte il nuovo leader, ancorché del tutto demolito dai giudizi del Fondatore. Un po’ quello che capitò ad Alfano quando fu bollato da Berlusconi per mancanza di quel «quid» che fa la differenza. Era sembrato alla fine che Conte – divergendo da un Grillo troppo governativo - fosse un Di Battista ben pettinato, e ci si aspettava che – incontrandosi con Draghi sulla Giustizia – esprimesse rigide richieste a difesa della malaugurata azione di Bonafede, ma è poi uscito da Palazzo Chigi con il consueto bagaglio di vaghezze rassicuranti. Senonché, i seguaci del (sempre futuro) capo politico hanno poi presentato centinaia di emendamenti peggiorativi, che se passassero, provocherebbero il no dell’Europa. È dura far conto su un partito ancora forte dei numeri ma chiaramente allo sbando, sorretto con tenera comprensione solo da un Pd molto nostalgico del Conte tre che non fu.

Da questo strabismo autolesionistico è insomma necessario uscire e la bussola Draghi va utilizzata con convinzione. Ciò che è necessario si chiama giustizia, burocrazia, fisco, concorrenza. Sono temi duri, dirimenti, in cui usare il linguaggio della verità, dei fatti e non delle illusorie promesse. Bisognerebbe che qualcuno si convincesse che per vincere le elezioni sia più conveniente sfogliare con serietà l’agenda di Draghi. Se non lo faranno questi partiti, potrebbe farlo un nuovo quadro politico, perché mai come oggi la politica è liquida e l’elettorato imperscrutabile.

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