Draghi se ne sta in disparte, la politica è in movimento ma non è chiara la meta

Invocato come tecnico (finalmente un competente!), Draghi sta suscitando un ciclone politico che nessun politico s’è mai sognato di provocare. Lui se ne sta in disparte, motore immobile, forza propulsiva del governo, attento a non intromettersi nella buriana che ha investito i partiti. Intorno a lui tutto è in movimento, non si capisce verso dove. È solo chiaro che nulla sarà più come prima. Uscito Conte da Palazzo Chigi, è collassata la prospettiva politica di cui l’avvocato del popolo era la premessa e la promessa: costruire cioè un nuovo Ulivo, quel «grande campo progressista» ch’era nei cuori dello stato maggiore del Pd, da Zingaretti a Boccia. Tempo di commiatarsi dal personale e tutto è franato attorno all’ex presidente del Consiglio.

Il M5S che si poneva come centro di gravità permanente che non gli facesse cambiare idea sulle cose (le politiche da attuare) e sulla gente (la casta), pianeta intorno al quale tutto (dalla destra alla sinistra) doveva ruotare, è ora in stallo. Non più pianeta, ma satellite. Non più al centro della galassia ma ai suoi margini. Per di più, incerto se rientrarvi o perdersi nel buco nero della protesta. Anche Conte è cambiato. Non si propone più come leader di due partiti alleati, ma del solo M5S e per farne un «partito pigliatutto»: dialogare con tutti, con progressisti e con moderati senza però essere né progressista né moderato. Insomma, da capo partito vuole essere quello che era da premier: campione del sì «ma anche» del no. Il Pd aveva sperato che l’avvocato di Volturara Appula, rispuntato dal nulla potesse riuscire a far rispuntare all’orizzonte anche l’appannato sol dell’avvenire. Se lo ritrova inaspettatamente alla testa del partito alleato, il M5s, non più garante dell’alleanza ma controparte.

Lo scompiglio suscitato a sinistra fa il paio con lo sconquasso provocato a destra. L’arrivo di Super Mario alla testa del governo, salutato dal ceto produttivo del Nord come l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto, non poteva che creare una frattura nel centrodestra. Come avrebbe potuto la Lega non abbracciare la causa dell’uomo che gode la stima della sua base sociale? Scelta quindi obbligata ma purtroppo costosa. Non solo ha creato un nuovo e più pesante motivo di contrasto con Fratelli d’Italia, indisponibili a disertare la linea dell’opposizione che tanto apprezzamento sta incontrando nell’opinione pubblica conservatrice, ma sta costringendo Salvini a operare anche una virata ad U della sua politica. Operazione anch’essa per niente indolore. Abbandonare i populisti euroscettici alla Orban e alla Marie Le Pen per accasarsi con «l’uomo che ha salvato l’euro», l’ex governatore della Banca d’Italia ed ex presidente della Bce, non è uno scherzo.

Oltre a esasperare la competizione nel centrodestra, richiede alla Lega di ridisegnare la propria identità da forza populista a forza di destra orientata verso il centro. Le acrobazie messe in scena dalla Meloni e da Salvini per la scelta dei candidati a sindaco di Roma e Milano la dicono lunga sulle frizioni odierne e soprattutto sulle future ragioni di contrasto del centrodestra. Grande confusione sotto il cielo, recita l’adagio di Mao Zedong, ma non si può concludere con lui che la situazione sia eccellente.

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