Emergenza e nuovi scopi
di politica monetaria

Dopo gli eccessi dell’inflazione degli anni Settanta e Ottanta, negli ultimi trent’anni con l’ingresso in Europa ci siamo abituati a pensare che il controllo dell’inflazione dovesse essere il solo obiettivo della politica monetaria. A sostenere questa tesi è stata soprattutto la Germania, memore dei disastri della repubblica di Weimar negli anni Trenta dello scorso secolo, quando un’enorme inflazione annullò il valore del marco. Alla Bce, quindi, è stato demandato il compito di alzare preventivamente i tassi ogni qual volta l’inflazione si fosse attestata molto vicina al 2%, ponendo attenzione affinché questo limite non fosse superato. Un cambio di rotta importante nell’esercizio della politica monetaria europea è intervenuto dal 2015 quando, per il perdurare della crisi finanziaria iniziata nel 2008, Mario Draghi annunciò che avrebbe fatto tutto il possibile («whatever it takes») per scongiurare la crisi dell’euro.

Da qui l’introduzione del «Quantitative easing» (allentamento quantitativo), rappresentato da un notevole acquisto di titoli pubblici da parte della Bce, con il corrispettivo trasferimento di liquidità alle banche. Con questa assai opportuna iniziativa si è raggiunto lo scopo di mettere al riparo dalla speculazione finanziaria non solo l’euro, ma anche i Paesi europei più indebitati come il nostro. Tuttavia, l’inflazione ha continuato a mantenersi molto bassa e le banche non sono riuscite a convertire questa enorme liquidità in crediti alle imprese, in assenza di affidabili opportunità d’investimento.

Oggi, per contrastare le gravi conseguenze economiche provocate dalla pandemia, si stanno creando le premesse per una svolta epocale nella politica monetaria dei Paesi occidentali. La Riserva Federale Americana (Fed) ha solennemente affermato che il suo principale obiettivo sarà quello di favorire la crescita e l’occupazione, anche a costo di provocare un aumento durevole dell’inflazione oltre il 2%. Ciò avrà non poche conseguenze per le economie degli altri Paesi occidentali perché, nella prospettiva di una maggiore inflazione, il dollaro continuerà a svalutarsi nei confronti delle altre monete.

Le conseguenze maggiori riguarderanno l’euro che rivalutandosi rispetto al dollaro renderà ancora più difficili le nostre esportazioni già frenate dalla caduta della domanda globale. Decidere, come ha fatto la Fed, di tornare a privilegiare l’aumento dell’occupazione ci fa ritornare indietro agli anni Settanta, quando le banche centrali stimolarono una forte crescita dell’inflazione per generare maggiore occupazione e un aumento della domanda interna. Tuttavia, quella scelta portò, soprattutto in Europa, ad una diffusa «stagflazione» in quanto ad una maggiore inflazione non si accompagnò una crescita dei consumi e degli investimenti. Oggi, però, i maggiori problemi che caratterizzano molti Paesi della Ue sono rappresentati non solo da una bassa crescita ma anche da un consistente indebitamento.

In questa situazione, una maggiore liquidità destinata ad investimenti produttivi sarebbe di stimolo alla crescita e il conseguente aumento dell’inflazione potrebbe rappresentare uno strumento indispensabile per alleggerire il peso dell’indebitamento. In questa direzione si sta opportunamente muovendo la Comunità europea. Ai finanziamenti attraverso il Sure, il Mes e il Recovery Fund - che se ben spesi contribuiranno certamente al graduale rilancio dell’economia - si sta accompagnando una politica monetaria espansiva da parte della Bce. Dal primo luglio, infatti, ai 750 miliardi di euro previsti per gli interventi di «Quantitative easing» si è aggiunto un programma di 1.350 miliardi di acquisto titoli per far fronte all’emergenza Covid, chiamato Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme).

Dopo l’approvazione di tale programma, che fino ad oggi ha comportato l’acquisto di 500 miliardi di titoli, il Consiglio direttivo della Bce si è impegnato ad effettuare una politica monetaria prevalentemente orientata a favorire la crescita e l’occupazione. Si tratterà ora di vedere se, nel caso fosse necessario, la Bce si spingerà anche a superare, Germania permettendo, la soglia del 2% dell’inflazione, seguendo l’orientamento della Fed.

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