Europa e Cina, il commercio ha cambiato orientamento

MONDO. Negli anni si sono sempre più sviluppate intense relazioni commerciali tra l’Europa e la Cina.

Negli ultimi tempi, tuttavia, sta emergendo un netto cambio di rotta nei rapporti bilaterali con la Cina che è vista non più solo come un utilissimo partner, ma anche come un rivale sistemico, in conseguenza alla posizione ambigua che il gigante asiatico ha preso nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. La Cina non ha esplicitamente condannato la sciagurata iniziativa di Putin, ma si è solo limitata a ribadire in vari consessi internazionali il diritto di ogni Paese di difendere i propri confini. Tale posizione è stata all’origine di un forte inasprimento nei rapporti commerciali e geopolitici con gli Stati Uniti, che si sono da subito apprestati a limitare sensibilmente la loro dipendenza dalla Cina, sia in termini di export che di approvvigionamento energetico. L’Europa non ha potuto fare a meno di allinearsi alla posizione americana, seppure con una maggiore gradualità. La scelta americana è stata facilitata dalla possibilità di fornire ingenti sostegni alle produzioni autoctone. L’Europa si trova a gestire una situazione più complessa.

Da un lato è ben lontana dal poter garantire alle proprie imprese sostegni così massicci, dall’altro negli ultimi quattro anni ha più che raddoppiato l’import da Pechino che rappresenta il suo principale partner commerciale. Oggi la Cina è destinataria del 9% delle esportazioni delle aziende europee e allo stesso tempo è fornitrice all’Europa del 20% dei beni importati. L’Europa dipende dalla Cina quasi integralmente per la fornitura di terre rare, soprattutto di litio (97%) - materiale chiave per la produzione di batterie per macchine elettriche - e per pannelli solari (80%). Stante questa situazione, appare del tutto evidente che la strategia statunitense, che si è avvalsa anche della possibilità di imporre dazi del 27% sulle importazioni di auto elettriche dalla Cina, non si presenti ad oggi sostenibile dall’Europa che dovrà comunque attivarsi per attenuare la propria dipendenza commerciale dalla terra del dragone. In questa direzione si sta muovendo la Commissione europea visto che il 13 settembre scorso la Presidente Ursula von der Leyen ha annunciato che verrà avviata un’indagine antidumping sulle auto elettriche provenienti dalla Cina. Allo stesso tempo ha affidato a Mario Draghi il compito di predisporre uno studio su come rafforzare la competitività industriale europea a livello globale. Il sei settembre scorso, poco prima dell’incarico affidatole dalla von der Leyen, sull’edizione online dell’Economist proprio Draghi aveva sottolineato la necessità che l’Europa cessasse di «dipendere dagli Usa per la sicurezza, dalla Cina per l’export e dalla Russia per il gas».

In questa sua visione che tende esplicitamente alla realizzazione di una maggiore «sovranità europea» ben si inquadrerebbe una profonda revisione del Patto di Stabilità. L’obiettivo principale da perseguire dovrebbe essere quello di trovare un accordo affinché nel nuovo Patto gli investimenti pubblici ricevano un peso minore rispetto alle spese correnti, se volti a promuovere il rimpatrio delle produzioni industriali in settori prioritari come quelli relativi alla transizione energetica. Questo consentirebbe ai Paesi europei di avere più disponibilità economiche per incentivare il settore privato a trasferire in Europa la gran parte della produzione di macchine elettriche e di tecnologie cruciali che siano in grado di produrre ricadute positive sul potenziale di crescita economica.

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