Europa, due vie: Meloni al bivio

Il commento. Nel suo discorso di commiato a Bruxelles, Mario Draghi ha lasciato a tutti i Paesi della comunità un significativo messaggio: «L’Europa è fonte di stabilità. Ma quando è divisa i Paesi iniziano a sperimentare l’instabilità. Per tanti motivi l’Italia deve essere attenta a questo».

Giorgia Meloni, ben consapevole che, nonostante gli apprezzamenti ufficiali ricevuti da tutti i Capi di Stato europei, permane un clima diffuso di diffidenza nei suoi confronti, si è mossa con molta intelligenza politica nella composizione del governo, assegnando alcune caselle chiave a ministri di sperimentata fede europea. Ha fortemente voluto al ministero dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, che non pochi sostengono consigliatole da Draghi, più che dal segretario della Lega Matteo Salvini. Agli Esteri ha nominato Antonio Tajani che, soprattutto dopo le esternazioni di Berlusconi pro-Putin, può fornire le più ampie garanzie all’Europa anche per la sua precedente esperienza come presidente del Parlamento europeo. Ha nominato ministro per le Politiche europee, la Coesione e il Pnrr Raffaele Fitto, già appartenente alla Democrazia Cristiana, un partito che per trent’anni, fin dall’inizio con Alcide De Gasperi, si è battuto per la costituzione e l’evoluzione del progetto europeo. Ha, infine, scelto come consulente per l’energia, Roberto Cingolani, già ministro del governo Draghi, che si è reso disponibile senza alcun compenso per portare a termine il lavoro già avviato.

Bisognerà ora vedere, dopo i primi appuntamenti europei ai quali si appresta a partecipare, se il clima nei confronti del nostro premier subirà un sostanziale miglioramento. Certamente, una sua iniziativa molto opportuna è stata quella di aver voluto incontrare, prima ancora del suo insediamento, Emmanuel Macron, ospite della Comunità di Sant Egidio. La diffidenza delle principali cancellerie europee nei confronti di Giorgia Meloni nasce dalla sua adesione al «Gruppo dei conservatori e riformisti europei», di cui è presidente dal 2020. In questo gruppo, al quale aderiscono le «destre sovraniste» di molti Paesi europei, hanno particolare peso il leader ungherese Victor Orban e quello polacco Mateuusz Morawiecki. Questo partito si rifà all’idea «intergovernativo-confederale», che ha avuto come principale ispiratore Charles de Gaulle il quale auspicava, come atto finale del processo europeo, la costituzione di un organismo centrale, privo di una propria autonomia, al quale il Consiglio dei Capi di Stato potesse demandare, volta per volta, il compito di affrontare questioni di comune interesse, mantenendo, però, il diritto di veto su ogni decisione.

Questa posizione si è sempre contrapposta a quella dei «federalisti europei», che aderendo alla scelta dei Padri fondatori (De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet), ispirati dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, auspicano la costituzione di un vero e proprio «Stato federale europeo» al quale i vari Stati possano demandare competenze di interesse comune come la politica estera, la sicurezza interna ed esterna e la politica fiscale. In direzione del federalismo si sono già fatti grandi passi avanti con la costituzione della Bce, della moneta unica, del Parlamento europeo eletto dal popolo, nonché con la creazione della Corte di giustizia europea. Negli ultimi tempi, a seguito della pandemia, si è concordemente pervenuti anche alla creazione di un debito comune attraverso l’emissione di eurobond, che molti auspicano possa assumere un carattere strutturale. Ulteriori sostanziali passi avanti potrebbero essere realizzati con l’eliminazione del diritto di veto, che non è previsto nei sistemi democratici, ma che è fortemente voluto dai Paesi sovranisti.

Nella presentazione del suo governo al Parlamento, Meloni ha positivamente sorpreso i partner europei dichiarando ferma adesione al Patto atlantico e alla Nato ed esprimendosi decisamente per ogni forma di aiuto anche militare all’Ucraina invasa da Putin. Ha anche confermato l’adesione del governo da lei guidato all’Europa sottolineando, però, che non è scontato pervenire al «federalismo». Ha comunque sottolineato i tanti limiti che i singoli Paesi evidenziano nell’affrontare temi di comune interesse come la sicurezza interna ed esterna e la politica estera. I prossimi mesi ci diranno in quale direzione vorrà concretamente muoversi.

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