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MONDO. Può davvero il pragmatismo diventare il nuovo collante dell’Europa? È la domanda che Mario Draghi ha posto, con la freddezza del banchiere e la lucidità di un politico senza partito, ricevendo a Oviedo il premio Principessa delle Asturie.
«Oggi la prospettiva per l’Europa è tra le più difficili che io ricordi», ha detto l’ex governatore della Bce ed ex premier di un governo «tecnico». «Quasi ogni principio su cui si fonda l’Unione è sotto attacco», osserva. E allora, per salvarla, propone un «nuovo federalismo pragmatico»: alleanze flessibili, costruite «da coalizioni di volenterosi attorno a interessi strategici condivisi». C’è chi vede in questo progetto addirittura una candidatura al sostituto di Ursula von der Leyen. Già, i «volenterosi». La parola ha un’eco che inquieta, perché la stessa è stata usata da Macron e Starmer per una possibile escalation militare contro la Russia a difesa dell’Ucraina. Ma Draghi non pensa ai cannoni. Pensa alle industrie, alle reti energetiche, ai semiconduttori, alla difesa comune. Il suo è un pragmatismo economico, non certo ideologico. Eppure, anche qui, il rischio di un’Europa a due velocità è dietro l’angolo.
Draghi fotografa un’Unione smarrita, che ha perso la bussola dei padri fondatori. «Abbiamo costruito la nostra prosperità sull’apertura e sul multilateralismo: ora affrontiamo protezionismo e azioni unilaterali. Abbiamo creduto che la diplomazia fosse la base della
Abbiamo costruito la nostra prosperità sull’apertura e sul multilateralismo: ora affrontiamo protezionismo e azioni unilaterali
sicurezza: ora assistiamo al ritorno della potenza militare come strumento per affermare i propri interessi. Abbiamo promesso leadership nella responsabilità climatica, ma oggi vediamo altri ritirarsi mentre noi sosteniamo costi crescenti». È un atto d’accusa senza alzare la voce. Con la calma dei numeri, Draghi dice che l’Europa non regge più il confronto con le grandi potenze. E allora un passo di lato. Il «federalismo pragmatico» diventa l’ultima spiaggia. Paesi che uniscono i propri sforzi in settori specifici: la difesa, la tecnologia, l’energia. Non una federazione dei popoli, ma dei mercati. Non un sogno politico, ma un progetto tecnico. Germania in testa, «gigante economico e nano politico», seguita da Francia, Italia, Olanda, Polonia: tutti insieme solo quando conviene. L’idea di un’Europa a geometria variabile che sostituisce la pratica alla politica non è nuova. Ma Draghi la veste da ingegnere, con la precisione di chi sa che l’Europa, così com’è, è bloccata da un meccanismo assurdo: 27 Stati, ciascuno con diritto di veto, basta un Orban per paralizzare tutto. «Chi vuole unirsi lo faccia - dice in sostanza Draghi - chi non vuole, resti pure indietro». Una formula semplice, che suona come un «o dentro o fuori».
È un’Europa che funziona per obiettivi, non per ideali. Dove la spinta nasce, nelle intenzioni del banchiere, dal basso, dalle imprese e dai cittadini, non dai burocrati di Bruxelles. Un antidoto contro i «lacci e lacciuoli» che strangolano la democrazia comunitaria. Ma anche una rinuncia al grande sogno che l’aveva fatta nascere: quello di Adenauer, De Gasperi e Schuman, uomini che credevano in un’Europa dei popoli prima che dei bilanci e delle contingenze pratiche. Che guarda al domani e non al dopodomani. Il rischio, qui, è che il «federalismo pragmatico» diventi un tecnicismo senz’anima. L’Europa non si salva solo con le regole di bilancio e i fondi per i semiconduttori. Si salva se ritrova una passione, un’idea di sé. E questo, Draghi lo sa, ma lo dice a modo suo: con la lingua dei numeri, non con quella dei sogni. Certo, un passo di lato può servire. Forse il pragmatismo è davvero la scorciatoia obbligata per uscire dal pantano imposto dalle Grandi potenze emergenti e dai sovranismi che invadono il Vecchio Continente (ultima la Repubblica Ceca). Ma se l’Europa smette di credere in qualcosa di più grande di un piano industriale, resterà un grande condominio amministrato da tecnici, non una casa comune di popoli. E allora la domanda resta aperta: può un continente fondato su un ideale sopravvivere solo di pragmatismo?
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