Fondi Pnrr non usati, l’Europa ha ragione

IL COMMENTO. Terminata la pandemia ecco che tornano gli strali di Bruxelles sulla politica economica italiana. Quest’anno il Patto di Stabilità, quello che fissa alcuni paletti economici da mantenere nel bilancio di Stato in base ai criteri di convergenza del «vecchio» Trattato di Maastricht (1993), è ancora sospeso, ma già per il prossimo anno tornano le minacce e le procedure d’infrazione.

Rieccoci dunque alle prese con il contenimento del flusso del deficit (la spesa primaria, ovvero al netto degli interessi, andrebbe ridotta almeno dello 0,7 per cento) e dello stock del debito pubblico, con la produttività che non decolla, il cuneo fiscale che non si abbassa (nonostante i provvedimenti del governo Meloni, secondo gli eurocrati è rimasto sostanzialmente invariato), il salario minimo troppo basso, l’evasione fiscale mostruosamente elevata, gli ammonimenti, le direttive, le raccomandazioni, le minacce europee e le inevitabili polemiche come contraccolpo.

Ma c’è una novità nelle consuete filippiche provenienti dall’Unione: il Pnrr, acronimo di Piano nazionale di ripresa e resilienza. Avevamo plaudito al governo di Giuseppe Conte – reduce trionfalmente da Bruxelles come Cesare al ritorno a Roma dalle Gallie e dalla campagna d’Egitto - per aver portato a casa una cornucopia di fondi divisi tra prestiti a fondo perduto e crediti da restituire. Oggi ci accorgiamo che non riusciamo a spenderli e non siamo in grado di investirli, perché erano troppi. Il nostro commissario Gentiloni cerca di rassicurarci, spiega che è difficile per tutti i Paesi, ma tutto questo non ci rende certo sereni. Secondo il governo dell’Unione il nostro Paese presenta «squilibri macroeconomici eccessivi».

La Commissione ha dichiarato che avrebbe proposto al Consiglio europeo di avviare procedure per i disavanzi eccessivi nella primavera del 2024, sulla base dei dati relativi ai risultati per il 2023. L’Italia dovrebbe tenerne conto nell’esecuzione del suo bilancio 2023 e nella preparazione del documento programmatico di bilancio per l’anno seguente. Si torna a stringere la cinghia, in una situazione di crisi totalmente differente da quella pre-pandemia, con un’inflazione che morde, una crisi economica internazionale che colpisce molti settori (non tutti), tensioni sociali che non risparmiano il commercio e l’artigianato.

Secondo l’esecutivo europeo, che raccomanda una politica di bilancio prudente, il nostro Paese non cresce e le amministrazioni spendono troppo. Non va bene la flat tax, cavallo di battaglia di Matteo Salvini. Qualche preoccupazione anche per le banche «significativamente esposte al debito sovrano». Della tanto sbandierata transizione ecologica non se ne parla nemmeno, l’Italia è ferma al palo, presa da altri problemi. Naturalmente, bontà sua, la Commissione tiene fuori dai parametri di Maastricht le spese necessarie alla ricostruzione dopo la devastante emergenza che ha colpito l’Emilia Romagna. Bontà loro. Bocciati anche gli interventi di Draghi e della Meloni per la riduzione del costo dell’energia, aumentata per via di fattori «esogeni» come il consumo di gas della Cina e la guerra in Ucraina. Per Bruxelles dovevamo stare al freddo e resistere in silenzio.

L’impressione è che le raccomandazioni di Bruxelles suonano come anacronistiche, non tengono conto del contesto radicalmente diverso e della necessità di individuare nuovi parametri per garantire il miglioramento economico del Paese. Tutti gli economisti ormai concordano nell’affermare che il vecchio Prodotto interno lordo è una misura vecchia che non tiene conto del reale andamento del Paese.

Ma sul Pnrr forse hanno ragione: abbiamo gioito per quella montagna di soldi ma ci stiamo comportando come chi ha vinto alla lotteria ma non sa come spendere la vincita. All’Italia, come detto, spettano dal Pnrr qualcosa come 191,5 miliardi di euro come aiuti, la seconda in classifica è la Spagna, con 69,5 miliardi, seguita dalla Francia con 39,4 miliardi e la Polonia con 35,4 miliardi. Per meglio capire le proporzioni, i soldi del Pnrr portano 3.400 euro per ogni italiano, oltre il doppio dei 1.463 euro a testa degli Spagnoli e ben 6 volte rispetto ai 581 euro per ogni francese. Una cifra enorme, anzi folle, per noi italiani. Se il nostro Paese riesce di solito a spendere il 30% scarso dei fondi che le vengono messi a disposizione, allora – facendo una piccola proporzione - dei 191,5 miliardi di euro se va bene ne verranno spesi circa 60. Il resto li dovremo restituire. Altro che ripresa e resilienza. Forse varrebbe la pena di cambiare l’acronimo in Piano nazionale di ripensamento e restituzione.

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