
(Foto di Ansa)
MONDO. Come ormai tutti sanno da oggi fino a domenica Venezia è stata sequestrata per un faraonico evento privato: le nozze tra il tycoon della logistica Jeff Bezos e la giornalista Lauren Sanchez.
Per i duecento invitati - il jet set internazionale, tra rockstar, attori e miliardari vari - la coppia ha prenotato in blocco cinque hotel a sette stelle con camere da 11 mila euro a notte. Hanno ragione gli attivisti – cosiddetti «no Bezos» - che salgono sui pennoni di piazza San Marco e protestano al grido di «Venezia è per tutti» e «i ricchi paghino le tasse»?
In effetti può suscitare scandalo e fastidio per l’ostentato fasto il calendario di questa tre giorni carnevalesca, durante i quali la sposa indosserà 27 abiti firmati tra cene, sfilate, party e numerose feste a tema, tra cui una dedicata al centenario del Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Gli sposi hanno comprato o affittato mezza laguna: palazzi sul Canal Grande, ville, ristoranti, gondole, motoscafi, vaporetti, comparse, persino la magnifica e maestosa isola di San Giorgio, letteralmente «blindata» e inaccessibile con il suo anfiteatro e i suoi chiostri palladiani. Un uso predatorio, privatistico di una delle città più belle del mondo, si dice.
Ma non c’è nulla di nuovo sotto il sole di San Marco. Quest’uso predatorio non è di oggi, non lo ha inventato Mr Amazon, che si è limitato a scegliere l’originale anziché quella «Venetian» in miniatura che sorge a Las Vegas, il mega hotel posticcio che riproduce la laguna, meta usuale dei miliardari americani.
In realtà Venezia è sempre meno per tutti, da tempo. Basta girare per le sue fondamenta o entrare in un bacaro per scoprire che una piadina può persino costare 15 euro, un cicchetto 5, una camera d’albergo a due stelle arriva a 300 euro, una stamberga umida coi letti sfondati trasformata in B&B può chiedere 200 euro a notte, un caffè in piazza San Marco presentarti un conto da 18 euro.
La città è da decenni un’immensa, bellissima giostra dove si susseguono gabelle pubbliche e private e dove si paga per ogni respiro, per spennare qualunque turista osi avventurarsi tra calli e campielli.
E infatti il sindaco Luigi Brugnaro e il governatore Luca Zaia plaudono al ritorno di immagine (anche se al momento gli albergatori non registrano alcun effetto Bezos) e soprattutto alla mancia di 3 milioni di euro alle Fondazioni dedite alla cura dell’ecosistema lagunare. In fondo c’è chi ha venduto un chilo di vongole a 260 euro per le cene del doge americano. In effetti il regime fiscale dei nuovi ricchi delle Big Tech è quanto meno vergognoso: Bezos, che ha un patrimonio personale di 227 miliardi di dollari, paga appena l’1,1 per cento sul suo patrimonio, avendo trasformato tutti i proventi in azioni. Ma cosa ha a che vedere tutto questo con i problemi di Venezia, una delle città più care del mondo?
Se è vero che la Serenissima è un diritto di tutti, allora forse sarebbe meglio evitare certi eccessi anche a danno della gente normale. La città dei dogi, che un tempo rappresentava il punto d’incontro fra Oriente e Occidente, è divenuta il crocevia tra la pacchianeria e l’arroganza ben prima dell’arrivo di Bezos. «Il denaro è l’ultimo dio dell’umanità e se parliamo di oro Venezia non è un’isola», ha commentato filosoficamente l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che la sua città la conosce bene.
La verità, amarissima, è che la bellezza, quando non è difesa, diventa merce. E la merce, per definizione, si compra. A qualsiasi prezzo. Ma non si dica poi che la colpa è dei barbari, se siamo stati noi, per primi, a spalancare loro le porte. Ci vorrebbe un Mose anche per l’acqua alta della cupidigia.
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