Forza Italia spariglia
in soccorso a Conte

Più si assottiglia il margine numerico che al Senato consente al governo di avere una maggioranza, più si moltiplicano le dietrologie sul futuro di Conte e dei suoi ministri. E nello spazio che si crea Silvio Berlusconi abilmente si infila, da vecchio navigatore dei palazzi politici. Il governo, non è un mistero, soffre non solo di un problema di coesione politica tra grillini e tutti gli altri, tale per cui la pratica più diffusa alla presidenza del Consiglio è quella del rinvio o del varo di testi approvati «salvo intese» (di fatto una scatola vuota con la sola etichetta buona per la propaganda).

Ma è afflitto anche di un concretissimo problema di numeri: a Palazzo Madama, dove Conte come tutti i suoi predecessori della Seconda Repubblica ha avuto sin dall’inizio una maggioranza esile, la situazione si è aggravata man mano che dal M5S uscivano parlamentari, o perché espulsi o per loro volontà. Spesso sono andati nel gruppo Misto ma in diversi casi sono confluiti nella Lega rafforzando direttamente l’opposizione di centrodestra.

Stando così le cose, a oggi basta che sette senatori grillini votino diversamente dal resto della maggioranza perché il governo vada sotto. Figuriamoci cosa può accadere nel momento in cui Conte si deciderà finalmente a chiedere un voto parlamentare sull’utilizzo del Mes, il Fondo salva Stati osteggiato dai grillini e dall’opposizione di destra sovranista. Se una risoluzione a favore del Mes fosse bocciata dalle opposizioni più i dissidenti del M5S il governo sarebbe virtualmente in crisi: troppo importante la questione da cui dipende in parte - benchè lo si neghi - il successo della trattativa sui 170 miliardi del Recovery Fund.

Ma qui, appunto, arriva Berlusconi. Il capo di Forza Italia - un partito molto ridotto nella consistenza elettorale ma capace di giocare ancora un ruolo nelle geometrie del potere - si è sempre schierato a favore dell’utilizzo del MES: «Non chiedere quei 37 miliardi a tasso zero nella situazione in cui siamo sarebbe imperdonabile» ha detto il Cavaliere più e più volte. Una posizione coerente con il profilo europeista e filo-tedesco di un partito iscritto al Ppe a trazione cristiano-democratica, germanica e merkelliana. Tanto che già nel passaggio dal Conte uno al Conte due Berlusconi si era inserito in quella che veniva chiamata «maggioranza Ursula» dove sarebbero confluiti tutti i partiti che a Bruxelles avevano eletto Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Non se ne fece niente, ma Berlusconi mantenne la sua apertura di dialogo col governo giallo-rosso, da forza di opposizione sì ma ragionevole.

Ora che il nodo Mes sta venendo al pettine e che i voti della maggioranza al Senato si fanno più incerti, Berlusconi ci riprova: «Non c’è la possibilità di un governo di unità nazionale ma non diremmo no ad una maggioranza diversa e più rispondente agli interessi del Paese». Ecco la piroetta: la possibile scissione di un troncone grillino più radicale (alla Di Battista) potrebbe essere compensata da Forza Italia, magari con la sola astensione in Parlamento (e una trattativa su programma e sottogoverno). Non a caso Conte ha subito gradito il contributo di Berlusconi, «il più costruttivo e il più responsabile dell’opposizione», mentre la Lega è subito scattata con una reazione furente: «Berlusconi dicendo sì al Mes va contro l’interesse nazionale» e poi: «Servono le elezioni altro che governo diverso». Stessa posizione di Fratelli d’Italia, con una differenza: Giorgia Meloni non ha sostenuto con la sua voce la protesta salviniana. Sarà perché la Meloni conta su Berlusconi per ridimensionare le speranze di Salvini di andare a Palazzo Chigi?

In ogni caso da oggi sappiamo ufficialmente che il «soccorso azzurro», se necessario, è pronto ad intervenire. L’utilizzo del Mes a questo punto è sicuro, ma i possibili contraccolpi sull’intesa Zingaretti-Renzi- Di Maio sono tutti da valutare.

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