Gilet, dietro gli scontri
un deficit di politica

Saccheggi, incendi, devastazioni. La Parigi che brucia e brulica di scontri rappresenta in modo perfetto la mesta ma forse prevedibile involuzione del movimento dei gilet gialli. Adesso viene facile al presidente Macron definire «criminali» loro e tutti quelli che erano presenti alle manifestazioni, e al suo primo ministro usare senza remore il termine «assassini». Facile perché, ed è persino ovvio sottolinearlo, nessuno può schierarsi al fianco di una protesta che pratica il vandalismo sistematico ai danni di cittadini pacifici e di luoghi che hanno la sola «colpa» di trovarsi lungo la strada di un corteo.

Per di più in un Paese come la Francia che già soffre di altre tensioni violente. Per esempio quella portata dal rinascente antisemitismo, che ha assassinato undici persone negli ultimi dodici anni e che nel solo 2018 ha espresso 541 atti di odio nei confronti degli ebrei. Dicevamo che l’attuale disastro era forse prevedibile perché in tutta la vicenda dei gilet gialli si è registrata una clamorosa diserzione: quella della politica. Il movimento, nato spontaneo sulla base di una rivendicazione sociale ed economica (la protesta contro il caro carburanti, motivato dal Governo con la necessità di avviare la transizione verso una mobilità meno inquinante), non è mai riuscito a dotarsi di un’interfaccia politica che andasse oltre una sporadica sponsorizzazione della destra (molto attenta, però, a non rischiare la propria immagine «legge e ordine») o dell’improbabile sinistra spaventa-borghesi di Melenchon e del suo partito France insoumise. Per non parlare degli pseudo-partiti, drammaticamente ridicoli, immaginati dai ranghi degli stessi gilet gialli.

Al movimento, arrivato alla diciottesima settimana di proteste, non manca l’energia. Manca la testa. E questo ha lasciato varchi enormi agli esponenti per eccellenza dell’antipolitica, ai black bloc e ai casseurs che imparammo anche noi a conoscere a Genova nel 2001 e che girano per l’Europa in cerca di occasioni per esprimere il loro nichilismo fatto a base di molotov e bastoni. Non aver bloccato queste infiltrazioni è un peccato grave che i gilet gialli stanno già scontando e sconteranno ancor più in futuro. Se si vuol essere onesti, però, bisogna dire che un profondo deficit di politica si è avuto anche sull’altro lato della barricata, quello governativo. La protesta dei gilet gialli è stata prima sottovalutata, guardata con sufficienza, criminalizzata (quando ancora gli episodi di vandalismo e violenza erano minimi e contenibili) e infine affrontata come una sommossa. Le scene di inutile brutalità poliziesca sono ben rappresentate in tutta la Rete. Macron e i suoi, proprio come i partiti «perbene» dello spettro politico francese, si sono tenuti lontani dai gilet gialli fin dall’inizio, e non da quando le proteste sono degenerate. Rifiutando in sostanza di riconoscere che il movimento esprimeva un disagio legittimo e comunque perfettamente calato nei dilemmi delle società europee contemporanee. È stato facile affidarsi al mantra consolatorio del «populismo», mentre sarebbe invece stato necessario ammettere che il tema delle accise sui carburanti pone una questione ben precisa: chi deve finanziare la riconversione in senso ambientalista della mobilità in Europa? Su quali spalle si scaricherà il peso di una trasformazione che cambierà non solo il modo di viaggiare e lavorare ma anche quello di produrre, e con solo automobili?

Nessun ragionamento in questo senso, solo condanne. Un errore non da poco, soprattutto per un leader come Emmanuel Macron che, pur con poca fortuna, ha proposto agli altri Paesi dell’Unione europea la creazione di una banca europea per il clima che possa sostenere e finanziare la transizione ecologica nel continente. Facendo così capire di aver ben presente la dimensione enorme della sfida tecnologica ed economica a cui tutti ci apprestiamo. Il duplice errore non potrà non avere ripercussioni. Perché in ogni caso, anche in quello in cui Macron riuscisse a disperdere le proteste o i gilet gialli annegassero nelle violenze che non riescono a evitare, la questione resterà aperta. E i movimenti di protesta (come pure i pendolari e i padroncini che dovrebbero rottamare i vecchi diesel o pagare di più i carburanti) ancora non hanno avuto la risposta che chiedono: chi paga?

© RIPRODUZIONE RISERVATA