Giustizia, la riforma non si deve insabbiare

Gli esiti ultimi delle vicende giudiziarie relative alla morte di Stefano Cucchi inducono a varie riflessioni, e, nel contempo, pongono alcuni interrogativi. È fuori di dubbio che soltanto la pertinacia, fino all’ostinazione, della sorella del malcapitato abbia condotto alla condanna sia degli autori materiali delle violenze inflitte al fratello, sia di coloro che tentarono di occultarne le responsabilità, arrivando a depistare le indagini.

Da tale sconcertante vicenda emergono sia un aspetto positivo, sia un’amara considerazione negativa. È da valutare come un elemento rassicurante per i cittadini, il fatto che - riguardo alle violenze fisiche e morali subite da Stefano Cucchi - sia caduto il muro di omertà che fin troppo spesso ha contraddistinto vicende analoghe. In questo caso la chiusura a riccio che tradizionalmente portava a creare un alone di oscurità sugli abusi commessi da esponenti dei carabinieri si è progressivamente incrinata fino a sgretolarsi, portando alle condanne inflitte ai responsabili. Conclusione che deve essere intesa in tutto il suo valore di monito per le forze dell’ordine, le quali hanno il dirittodovere dell’esercizio legittimo della forza, ma che - proprio in ragion di tale prerogativa - non devono in nessun caso abusarne. In particolare nei riguardi di persone inermi.

Si può, dopo la sentenza sul caso Cucchi, ragionevolmente sperare che nessun sopruso da parte delle forze di polizia verrà più coperto dall’omertà interna e dai depistaggi delle indagini che possano seguirne da parte della magistratura. I cittadini hanno bisogno di vedere tutelata la loro sicurezza e di veder garantiti, nel contempo i diritti di libertà. Sono entrambi diritti fondamentali, costituendo elementi di base di una democrazia, che sappia essere tale.

In tale contesto è emblematico che l’Arma si sia costituita parte civile nel processo. Scelta coraggiosa e responsabile, perché - come ebbe a dire anni fa il Comandante generale - si trattava di difendere l’onorabilità della stragrande maggioranza dei carabinieri, i quali quotidianamente, a rischio della loro vita, si adoperano per garantire la legalità, per perseguire chi commette (o si prepara a commettere) reati. Il messaggio rappresenta un chiaro segnale per il presente e per l’avvenire. Si può, dopo la sentenza sul caso Cucchi, ragionevolmente sperare che nessun sopruso da parte delle forze di polizia verrà più coperto dall’omertà interna e dai depistaggi delle indagini che possano seguirne da parte della magistratura. I cittadini hanno bisogno di vedere tutelata la loro sicurezza e di veder garantiti, nel contempo i diritti di libertà. Sono entrambi diritti fondamentali, costituendo elementi di base di una democrazia, che sappia essere tale. Il rispetto doveroso che si deve alle forze dell’ordine deve andare di pari passo con l’esercizio del giudizio critico della collettività. Sotto tale profilo è poco confortante dover constatare che - quasi sempre - episodi come quelli che hanno portato alla morte di Stefano Cucchi si risolvano positivamente soltanto in virtù di una giustizia «mediatizzata». L’approfondimento delle indagini, la messa sotto accusa anche di coloro che avevano depistato le indagini, sono avvenuti grazie ad una spinta mediatica che ha posto dinanzi all’opinione pubblica le nefandezze compiute e che erano state tenute segrete. Non dovrebbe essere così, perché in una società democratica la giustizia dovrebbe essere assicurata «normalmente» e non sotto la spinta dei media.

Vi è, infine, un ulteriore aspetto sul quale vale la pena di riflettere. Nel nostro Paese la giustizia (tanto quella penale quanto quella civile) è paurosamente lenta. Con riflessi pesantissimi sulla legalità. Vi sono persone che sfuggono alla pena che meriterebbero a causa dei termini di prescrizione. Dall’altro lato, l’ingiustificata lentezza della macchina giudiziaria si risolve in un danno gravissimo per chi viene prosciolto (magari da accuse gravissime) dopo molti anni. E talvolta dopo avere scontato una detenzione ingiusta. Sono questi temi all’ordine del giorno dell’azione del Governo e delle decisioni del Parlamento. Il ministro della Giustizia, Cartabia, ha presentato un’articolata proposta di riforma. È auspicabile che tale progetto non si insabbi nei meandri di discussioni pretestuose.

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