Giustizia, la riforma
che divide e un vuoto

La riforma della giustizia disegnata dal ministro Alfonso Bonafede (5 Stelle) sarà uno dei passaggi più delicati della vita del governo Conte bis, sia per l’oggetto che per punti di vista diversi già emersi in fase di discussione fra i due soci più rilevanti della maggioranza, i pentastellati e il Pd. La riforma era già stata pensata sotto il precedente governo. Il guardasigilli ha annunciato che sarà approvata entro fine anno, spacchettata in due disegni di legge: in uno ci sarà la materia penale e la legge elettorale del Csm, nell’altro le norme sul processo civile. I punti condivisi tra M5S, Pd, Leu e Italia viva per quanto riguarda il civile, sono la restrizione della durata dei processi, il miglioramento dei Tribunali fallimentari e il potenziamento delle infrastrutture attraverso l’uso delle nuove tecnologie e l’assunzione di personale.

Per la riforma del processo penale, un punto di incontro sono le sanzioni per i pm che ritardano la chiusura delle indagini preliminari, come per i giudici che invece non rispettano i tempi massimi per le sentenze. Pieno accordo anche sul divieto di rientro in magistratura per i magistrati eletti in Parlamento. Le distanze riguardano la riforma del Csm (il Pd è contrario alla parte che prevede il sorteggio per l’individuazione dei magistrati eleggibili) e della prescrizione (entrerà in vigore il 1° gennaio 2020, i democratici non condividono lo stop alla prescrizione del reato dopo il primo grado di giudizio). Problemi anche sul decreto intercettazioni che i 5 Stelle vorrebbero modificare.

Il ministro Bonafede in un eccesso di ottimismo ha detto che «con la riforma l’80% dei processi penali finirà entro 4 anni», senza tener conto della cronica mancanza di personale ad ogni livello nei Tribunali, che rende illusoria perfino l’obbligatorietà dell’azione penale: invasi da faldoni, gli uffici devono fare una selezione dando precedenza ai reati più gravi. Intanto il guardasigilli incassa cinque giorni di sciopero (dal 21 al 25 ottobre prossimi) delle camere penali, contrarie all’abrogazione della prescrizione: «Una delle pagine più sciagurate - scrivono gli avvocati penalisti - della deriva populista e giustizialista del nostro Paese, giacché afferma il principio, manifestatamente incostituzionale, secondo il quale il cittadino, sia esso imputato che parte offesa del reato, possa e debba restare in balia della giustizia penale per un tempo indefinito, cioè fino a quando lo Stato non sarà in grado di celebrare definitivamente il processo che lo riguarda».

Le camere penali hanno criticato anche il Pd per aver formulato sul punto «riserve assai blande, indeterminate nei contenuti e non di rado contraddittorie. È manifestatamente inverosimile il proposito, - proseguono i penalisti - pure sorprendentemente avanzato dal ministro, di un intervento di riforma dei tempi del processo penale prima dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione. È chiaro a tutti gli addetti ai lavori, anche alla magistratura,che l’entrata a regime di un simile aberrante principio determinerebbe un disastroso allungamento dei tempi dei processi, giacché verrebbe a mancare la sola ragione che oggi ne sollecita la celebrazione (la prescrizione, ndr)».

Anche il Csm aveva espresso parere critico alla prescrizione bloccata dopo il primo grado di giudizio («se ne potrà discutere solo dopo che effettivamente i processi saranno più celeri») e idee chiare sulle intercettazioni («andrebbero regolamentate nella loro diffusione a tutela delle persone coinvolte per caso»). Ma dietro le grisaglie governative, la pancia dei 5 Stelle è da sempre giustizialista e il ministro Bonafede non intende certo recedere dal pilastro della prescrizione. Intanto nel dibattito c’è un vuoto: la riforma del sistema penitenziario. I problemi non mancano: sovraffollamento (62 mila detenuti a fronte di 50 mila posti), 63 suicidi nel 2018 (20 volte in più rispetto a chi è nella vita libera), il disagio psichico (ne soffre la metà dei carcerati in Lombardia), il rilancio delle pene alternative che danno risultati molto migliori nel recupero umano del detenuto. Temi impopolari, che la politica affronta sempre con la preoccupazione di non perdere consensi. Il precedente governo aveva come unico progetto la riconversione in penitenziari delle ex caserme. Un gesto umano si potrebbe compiere subito: nelle carceri italiane sono reclusi 52 bambini tra gli zero e i sei anni con le loro 48 mamme. La legge Finocchiaro del 2001 prevedeva la detenzione domiciliare per le madri incarcerate. Basta applicare la norma, non serve un gran coraggio.

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