Giustizia, la riforma
non parta già zoppa

Le polemiche sulla cosiddetta riforma della Giustizia non accennano a placarsi. Al di là dei contenuti e dei principi cui la stessa si ispira (spesso non condivisibili), non è controvertibile che si è al cospetto di una riaffermazione della primazia del potere legislativo rispetto a diversi interessi corporativi. Ma, a prescindere da tali considerazioni su cui già ci si è soffermati in un precedente intervento su questa testata ragionando su prescrizione ed efficienza, quel che preme sottolineare è il fatto che il disegno di legge si caratterizzi per una volontà legislativa a due velocità: con l’articolo 2, infatti, interviene modificando direttamente alcune disposizioni di legge tra le quali quelle deputate a disciplinare la prescrizione del reato, per converso l’articolo 1 del medesimo progetto legislativo enuncia una serie di deleghe su punti fondamentali del processo penale, a cui dovranno seguire entro un anno i decreti legislativi del Governo.

Anche ad un’approssimativa visione delle materie interessate dal progetto di riforma non si coglie la ragione della segnalata differenziazione di tecnica legislativa che, nel caso di specie, si traduce in un differente termine di vigenza dei singoli settori di riforma. E ciò tanto più ove si consideri che tra le materie riformande se ne rinvengano alcune le quali ben avrebbero meritato un’immediata modifica che peraltro non avrebbe richiesto l’impegno di particolari oneri per la finanza pubblica. Non si comprende pertanto quale sia stata la logica che ha presieduto alle diverse opzioni normative con conseguenze in ordine ai tempi di approvazione delle modifiche legislative.

Stando così le cose il rischio da evitare è che non si possa procedere alla delineata riforma complessiva per carenza di copertura finanziaria. Infatti il comma 23 dell’art. 2 del disegno di legge Giustizia subordina l’attuazione dei decreti legislativi al requisito della «neutralità finanziaria» dell’intervento riformistico. A sua volta il comma 24 della medesima disposizione prevede che qualora i decreti legislativi «determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al loro interno, saranno emanati» solo successivamente allo stanziamento delle relative risorse finanziarie. Presa di posizione, questa, che assume particolare rilievo se coordinata con il comma 22 dell’art. 2 d.d.l. Giustizia da cui si apprende che quanto alle disposizioni dirette a dare attuazione alla giustizia riparativa e a quelle finalizzate a istituire l’ufficio per il processo penale sono già state autorizzate spese per circa 51 milioni di euro (vedi Articolo 1 commi 19, 27 e 28).

Emerge quindi come si sia in presenza di un assetto di priorità che espone la residua parte della riforma al rischio della sua non attuazione per mancanza di copertura finanziaria. Se così fosse il progetto riformistico avrebbe il solo effetto di modifiche di settore incentrate in particolar modo sull’ennesimo intervento normativo in tema di prescrizione del reato; intervento che diventerebbe, così, l’oggetto principale e il fine della produzione legislativa.

La politica, quindi, indipendentemente dalla condivisibilità delle sue scelte, deve fare attenzione per evitare che una tecnica legislativa differenziata nei tempi e nei modi, attraverso lo schermo di una prospettiva di riforma, si risolva nell’introdurre un’ennesima modifica della prescrizione peraltro dimensionata sui tempi necessari a definire il processo addossando all’imputato le inefficienze della macchina giudiziaria.

© RIPRODUZIONE RISERVATA