Giustizialisti e garantisti lo scontro si acuisce

Italia. Il cosiddetto «caso Cospito» finisce per acuire lo scontro sulla giustizia in atto tra e dentro le coalizioni, di maggioranza e di opposizione, tra garantisti e giustizialisti.

La notizia ultima su questa vicenda del terrorista anarchico condannato all’ergastolo e al regime di carcere duro previsto dall’articolo 41bis, potrebbe contribuire ad allentare un po’ la tensione: Cospito infatti, a causa delle sue precarie condizioni di salute – fa lo sciopero della fame da 103 giorni per chiedere di uscire dal regime di isolamento – è stato trasferito dal carcere di Sassari dove era detenuto a quello di Opera a Milano che possiede un reparto di medicina intensiva dove può essere curato adeguatamente. Ma il punto fondamentale non è risolto: l’avvocato dell’anarchico chiede per lui l’annullamento del 41bis che fu disposto a maggio 2022 dalla ministra Cartabia perché si riteneva che il detenuto dal carcere desse istruzioni ai suoi complici per nuovi attentati cui lui stesso li indirizzava. Secondo il legale una sentenza della Corte di Assise di Roma dimostrerebbe l’insussistenza di questi rapporti da dentro a fuori il carcere.

Nel frattempo, si è costruita una campagna di stampa e politica che si associa alla richiesta pro-Cospito: la sinistra in particolare si muove in questo senso con il consueto corteo di artisti-attori-scrittori pronti a firmare appelli simili a quelli che protessero in Francia il terrorista Battisti. Contemporaneamente in Italia e all’estero si stanno sviluppando proteste e attentati (anche ieri cinque auto bruciate a Roma) organizzate dagli anarchici estremisti amici di Cospito. A decidere sulla questione deve essere il ministro della Giustizia sulla base del parere dei giudici (quelli stessi che a suo tempo chiesero la misura più restrittiva, la Procura antiterrorismo di Torino e la Direzione nazionale antiterrorismo). Senza contare che si aspetta una sentenza della Corte di Cassazione che però si esprimerà in marzo – quando Cospito potrebbe essere morto. Già, perché questo è il rischio concreto che si sta correndo e che certamente il governo non vuole correre. I ministri Nordio e Piantedosi e Giorgia Meloni in persona hanno ribadito che lo Stato non si piega di fronte ai ricatti di piazza, agli attentati e alle minacce e dunque che il 41bis deve restare finché lo si riterrà necessario alla sicurezza dello Stato.

Però, e qui la questione si incista sulla polemica garantisti-giustizialisti – la sinistra attacca direttamente Nordio chiedendogli «che fine abbia fatto il suo garantismo», cercando dunque di mettere in contraddizione il Guardasigilli con il suo passato e le sue convinzioni, sempre contrarie all’azione politica della giustizia, allo strapotere delle procure, alle manette facili. È un po’ il cortocircuito in cui Nordio si è infilato nel momento in cui ha denunciato gli abusi delle intercettazioni proponendone una restrizione ed è andato a sbattere contro il muro dei giustizialisti presenti nella stessa maggioranza di governo, e per essere precisi anche nel partito che lo ha eletto in Parlamento e che lo ha voluto al ministero della Giustizia. Sarà per questa ragione che Nordio in questo momento sembra voler prendere tempo, facendo scorrere i trenta giorni entro i quali deve prendere una decisione su Cospito: se la lasciasse cadere senza dare una risposta all’istanza dell’avvocato difensore equivarrebbe ad un rifiuto. Ma certo se, dopo aver proclamato in ogni modo che «lo Stato non tratta, non si fa piegare», ecc., a via Arenula aprissero per l’anarchico le sbarre del carcere duro, equivarrebbe ad un dietrofront del governo. Proprio ieri ricorreva il centesimo giorno dalla nascita del governo: le opposizioni già parlano di «cento giorni di retromarce», pensando alla differenza tra la campagna elettorale e la concreta azione di ogni giorno. Difficilmente Giorgia Meloni si potrebbe augurare una retromarcia anche sul 41bis. Ma Nordio sarà davvero d’accordo con lei?

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