Gli evasori fiscali sono una piaga sociale. Chi paga il conto

ITALIA. La povertà è un dramma, ma i finti poveri, ovvero gli evasori fiscali, sono una piaga sociale, anche se la politica di ogni colore finora ha fatto finta di non saperlo in nome del consenso: chi non paga le tasse infatti non solo si gode senza versare un centesimo i servizi che offre lo Stato, dalla luce dei lampioni alla manutenzione delle strade, dall’istruzione alle cure sanitarie, dalla tutela dell’ordine pubblico alla difesa militare, ma passano avanti nelle graduatorie, come quelle dei nidi o delle case popolari, pagando meno le rette universitarie e la mensa scolastica per i figli, ottenendo pure una miriade di sussidi vari di cui abbondano le misure comunali, regionali e statali, a cominciare dall’assegno unico.

Se dirigono un’impresa, accumulano più denaro in nero e fanno concorrenza sleale potendo fare più investimenti e maggiori offerte nelle gare d’appalto. Eppure la finta povertà pare essere una condizione comune a molti connazionali, a giudicare dalla fotografia dell’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche da cui arriva - considerando anche le addizionali regionali e comunali - un gettito annuale di 175 miliardi di euro (l’evasione fiscale annuale invece è stata quantificata in cento miliardi). La fotografia di un Paese di furbi, se andiamo a vedere le abitudini di spesa e le confrontiamo con i versamenti dei contribuenti, che in Italia sono poco più di 31 milioni.

Considerando che venti milioni sono minori, ce ne sono altri dieci che non versano nemmeno un centesimo. Tutti nullatenenti? Quelli che dichiarano da 100mila euro in su sono solo l’1,21 per cento della popolazione, pari a mezzo milione di cittadini. Ma come mai le automobili di grossa cilindrata circolanti in Italia sono 2,5 milioni? Ammesso e non concesso che dispongano tutti di una vettura di lusso, gli altri due milioni di «luxury car» chi le guida? Dei marziani?

Ma il dato più amaro è che il 13,94 per cento dei contribuenti con redditi da 35mila euro in su versa il 62,52 per cento delle imposte complessive sulle persone fisiche. In sostanza poco meno dei due terzi dell’imposta a carico grava su chi guadagna dai 35mila euro in su, il cosiddetto «ceto medio» che dispone di un reddito considerato un lusso. Un ceto peraltro sempre più povero. Come dimostra il decreto attuativo della delega fiscale che semplifica gli scaglioni di reddito da quattro a tre portando l’aliquota del 23 per cento fino a 28mila euro ma con i risparmi azzerati a partire da 50mila euro a causa del taglio degli oneri detraibili. Oltretutto quelli che dichiarano redditi superiori a 35mila euro non beneficiano se non in modo marginale dell’assegno unico universale per i figli e di quasi nessun bonus. I contribuenti che dichiarano meno di 15mila euro all’anno sono il 42,59 per cento del totale, compresi i negativi, e versano l’1,73 per cento dell’Irpef complessiva. Ci sono oltre 8,8 milioni di dichiaranti che denunciano meno di 7.500 euro e pagano meno di 26 euro l’anno di Irpef: una pizza e una birra. Tutti indigenti disperati che faticano a nutrirsi con poco più di 500 euro al mese?

Una situazione sconfortante: il 13 per cento degli italiani (pari a 5,5 milioni di contribuenti), quelli - come detto - che guadagnano da 35 mila euro lordi in su (in pratica duemila euro netti al mese, come quelli percepiti da un infermiere, o da un preside o da un impiegato) non beneficeranno nemmeno del taglio del cuneo fiscale previsto dal governo perché considerati «ricchi». In pratica sostengono il resto della popolazione. Il ceto medio Pantalone. Un Pantalone però sempre più in braghe di tela.

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