Gli sconquassi con l’inflazione

L’inflazione non è stata un problema in Occidente per così tanto tempo che oggi, al suo improvviso riaffacciarsi sulla scena mondiale, rischiamo di sottovalutarne gli effetti destabilizzanti, anche per le politiche pubbliche. Se l’aumento dei prezzi cui stiamo assistendo - negli Stati Uniti e in maniera minore nell’Eurozona - sia temporaneo o di lungo termine è ancora argomento dibattuto tra gli economisti. Rispetto a pochi mesi fa, però, i «temporaneisti» appaiono meno sicuri e convincenti. Non a caso le Banche centrali sono già entrate in allarme: al loro interno si dibatte apertamente di eventuali interventi sulla politica monetaria per frenare un eccessivo riscaldamento dei prezzi. I mercati, di conseguenza, entrano in fibrillazione.

Come ha notato Francesco Guerrera su Repubblica, si sta «sfaldando» la «Grande alleanza» tra banchieri centrali e investitori che abbiamo visto all’opera dal 2008. Un’alleanza che funzionava a grandi linee così: «Le Banche centrali stampavano denaro, ne tenevano basso il costo e lo pompavano nei mercati dove gli investitori lo prendevano e lo giravano (prendendosi le commissioni) ad aziende, lavoratori e consumatori». La recente fiammata inflazionistica e la scelta di alcuni banchieri centrali (a partire da quelli anglosassoni) di dichiarare un po’ più vicina la fine della straordinaria espansione monetaria hanno rotto l’idillio. In tutto il mondo gli investitori dovranno prendere le loro contromisure; nessuno nega che possa essere complicato, aggiungiamo noi, ma anche altri settori della società hanno dovuto fare fronte a difficoltà ben maggiori negli ultimi anni.

A preoccupare ancora di più della fine della sorte della «Grande alleanza», dunque, dovrebbe essere la rottura di una «Santa alleanza» tra banchieri centrali e ministri dell’Economia e delle Finanze che come contribuenti sembriamo ormai dare per scontata. Negli ultimi anni le politiche ultra-espansive delle Banche centrali hanno ridotto di molto anche il costo dell’indebitamento pubblico per gli Stati. Nel caso europeo, addirittura, il «whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012 ha allontanato lo spettro della fine della moneta unica supplendo alla mancanza di una unione fiscale nell’Eurozona. Da qualche tempo i banchieri centrali sono diventati delle «rockstar» sotto i riflettori dell’attenzione mondiale e nella maggior parte dei casi i ministri dell’Economia hanno felicemente rifiatato scendendo dal palco.

Si prenda il caso italiano. Il costo medio dell’emissione di titoli di Stato è sceso da oltre il 4% prima della crisi finanziaria del 2008 (e dal 3,6% nel 2011 all’apice della crisi del debito sovrano) fino allo 0,10% di oggi. Risultato: nel 2012 lo Stato italiano pagava 85 miliardi di euro per interessi passivi sul debito pubblico (5,2% del Pil), nel 2020 il debito pubblico è cresciuto ma nonostante questo la spesa per interessi è scesa a 57 miliardi (3,5% del Pil).

Grazie alla «Santa Alleanza» con la Banca centrale europea, lo Stato italiano nel 2020 ha risparmiato quasi 30 miliardi di euro rispetto al 2012. Un gruzzolo non da poco, considerato che la legge di Bilancio in corso di approvazione vale poco più di 23 miliardi. La minaccia dell’inflazione all’orizzonte potrebbe cambiare le carte in tavola. Al momento la Banca centrale europea si muove con estrema prudenza, memore forse degli effetti deleteri che una stretta monetaria troppo repentina causò nel nostro continente nel 2011. Eppure già si sentono voci dissenzienti, come quella del Governatore della Banca centrale austriaca, Robert Holzmann, che ipotizza di anticipare lo stop di ogni acquisto di bond. Se l’attuale fase di rialzo dei prezzi si consolidasse, è naturale che nella Bce si rafforzerebbero posizioni come quella di Holzmann. Dopo la «Grande Alleanza» tra banchieri centrali e investitori, si incrinerebbe dunque la «Santa Alleanza» tra banchieri centrali e ministri dell’Economia che ha fatto risparmiare non poco alle casse degli Stati sovrani. Assisteremmo a un aumento delle pressioni politiche sulla Banca centrale, in barba alle dichiarazioni di indipendenza della politica monetaria. E se la simbiosi tra Bce e via XX Settembre alla fine venisse meno, i primi ad accorgersene purtroppo sarebbero i Paesi più indebitati come il nostro.

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