Global Compact
Chi vince e chi no

A un fenomeno globale come le migrazioni serve una risposta multilaterale. Quante volte abbiamo sentito in Italia questo richiamo rivolto all’Europa, al punto di essere diventato quasi una litania. Ora qualcosa si è mosso, non in sede Ue dove i 27 Paesi restano divisi sulla proroga della missione Sofia di lotta militare agli scafisti, sulla riforma del Trattato di Dublino (che obbliga a richiedere lo status di asilante nel primo Stato d’approdo) e sulla redistribuzione dei migranti fra i 27. Una divisione confermata anche nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’Interno, giovedì scorso. Intanto però ieri a Marrakesh, in Marocco, alla conferenza internazionale delle Nazio Unite 164 Paesi hanno sottoscritto il «Global compact for migration» che per la prima volta affronta il fenomeno unendo le forze. Il documento ha un limite: non è vincolante. Ma ha un pregio: riconosce problemi e possibili soluzioni.

I principi ispiratori sono quattro: la migrazione deve essere disciplinata, sicura, regolare e responsabile. Il documento stabilisce alcune linee guida nella gestione del fenomeno e dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Fra i 23 obiettivi che si pone ci sono molte norme già previste dal diritto internazionale, come «affrontare e ridurre le vulnerabilità dei migranti» e «combattere il traffico degli esseri umani». Accanto a questi obiettivi, diversi incoraggiamenti a una maggiore cooperazione fra Stati per governare meglio le migrazioni e proposte per arginare quelle illegali, con l’apertura di vie legali. I migranti internazionali, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, sono oggi 243,7 milioni nel pianeta, il 3% della popolazione mondiale. In maggioranza vivono nei Paesi poveri, l’8% in Europa.

Gli Stati Uniti si sono sfilati subito dal «Global compact», nel 2017. Poi, a luglio scorso, l’Ungheria del premier Vitkor Orban e a seguire gli altri tre Paesi del gruppo sovranista di Visegrad: Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia. Quindi ancora Austria, Bulgaria, Croazia, Israele e Australia. Mentre in Belgio l’adesione del premier Charles Michel ha aperto una crisi di governo: l’Alleanza fiamminga, di destra, ha infatti ritirato i propri ministri dall’esecutivo. La Svizzera aveva annunciato che non sarebbe andata al vertice di Marrakesh in attesa di un pronunciamento del Parlamento. Stessa posizione assunta dall’Italia, che pure aveva firmato il documento a New York. Il tema ha spaccato la maggioranza gialloverde: Lega in dissenso, M5S a favore. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini si vanta di aver bloccato gli sbarchi (-83% negli ultimi sei mesi) con la chiusura dei porti, col conseguente calo del numero dei morti in mare. Ma restano ancora tanti, troppi: dal 1° gennaio scorso sono 2.133 (erano 3 mila nello stesso arco di tempo del 2017) ed aumentano invece i decessi nel deserto sahariano. In seguito alla militarizzazione degli Stati di transito come il Niger, i trafficanti, quando temono di essere intercettati, lasciano al proprio destino i migranti, senza acqua né viveri.

Sarebbe poi interessante conoscere il numero di irregolari che entrano in Italia dal confine di Gorizia (sono decine al giorno, su furgoni o tir) o in aereo: con un visto turistico, quando scade si fermano sul nostro territorio (gli sbarchi rappresentavano il 20% degli ingressi irregolari, l’80% avviene via terra o, appunto, via aerea). È lecita poi una domanda: che fine fanno le persone dirette in Europa e respinte in mare dalla Guardia costiera libica? La risposta può essere un’alzata di spalle ma sarebbe poco consona a una civiltà e a chi fa della difesa delle tradizioni cristiane un vessillo politico. I respinti finiscono nelle carceri libiche, un destino che non si può augurare nemmeno al peggior nemico, fra torture, violenze sulle donne, omicidi e alimentazione a pane e acqua. La sigla del «Global compact» è avvenuta nel 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che riconosce la dignità di ogni persona e quindi una serie di tutele. Fu scritta dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sullo slancio di valori umani e ideali politici provati da genocidi e ideologie mortifere, ma sempre vivi. Ha 70 anni, vale ancora oggi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA