Grandi opere, tempi lunghi e il contesto che cambia

ITALIA. Il collegamento autostradale tra l’autostrada A4 e la Bassa - chiamarlo Bergamo-Treviglio è oggettivamente una forzatura - sarà pronto nel 2028. Salvo complicazioni, frase che da decenni è uscita dal linguaggio della sanità per entrare a pieno diritto in quello delle infrastrutture.

Per il momento non vogliamo entrare nel merito della necessità di un collegamento, meglio prima soffermarsi su un elemento-chiave di tutti questi interventi: quello temporale. Se la fine resta tuttora incerta qualche punto fermo c’è, sull’inizio: il primo progetto è del 2012, la costituzione della società (si chiamava Ipb, Interconnessione Pedemontana-Brebemi) di dieci anni prima e l’idea complessiva di sistema di fine anni ’90. Quando cioè le Camere di Commercio di Bergamo, Brescia e Milano avevano concepito sì la Brebemi, ma nell’ottica di un disegno che comprendeva anche la Tangenziale est esterna milanese, poi realizzata, e il collegamento con l’A4 dalla Bassa al capoluogo. In sostanza, se tutto andrà come si dice, per realizzare quest’ultima infrastruttura saranno serviti 30 anni dal concepimento. Trenta.

Ma del resto della Pedemontana nella sua forma standard si parla dal 1963: all’epoca doveva collegare le province di Bergamo, Milano, Como e Varese, nell’attesa ne è pure nata una in più, quella di Monza Brianza. E strada (non) facendo il tratto bergamasco è stato tagliato: l’innesto sull’A4 sarà dalle parti di Agrate e se da un lato si limita il consumo di suolo nella Bergamasca, dall’altro si perde il previsto ponte sull’Adda. Sempre più fondamentale visto l’andamento generale.

Inutile negare che opere di questo genere hanno un grosso impatto, e il ragionamento vale sia per strade e autostrade così come le ferrovie. Non è vero che la rotaia sia un’infrastruttura leggera, tutt’altro: ha sue rigidità tecniche e difficoltà d’inserimento nei contesti fortemente antropizzati con costi che vanno di conseguenza. Chiaro che l’interramento è dove possibile la soluzione meno impattante, ma lo è altrettanto il fatto che i costi di un’opera in questo modo lievitano da 2 a 4 volte. Il che non è una buona ragione per fare le cose ad ogni costo, molto più semplicemente uno stimolo a trovare il giusto equilibrio tra l’ideale e il reale. Non sempre facilissimo.

Un equilibrio che diventa però quasi impossibile se i tempi di un’opera (di qualsiasi opera) si dilatano a dismisura, perché in questo caso il solo risultato certo è vederla nascere già vecchia e alimentare così un certo qual senso di inutilità generale. Un esempio su tutti, la Seriate-Nembro-Cene, nata già del tutto inadeguata.

In un recente passaggio in Commissione regionale sullo stato dell’arte delle opere per le Olimpiadi è emerso come il commissariamento abbia ridotto di quattro volte il tempo dei vari iter autorizzativi, ed è un dato che fa pensare. Lungi da noi invocare un eccesso di dirigismo, di quelli che fanno venire meno le più elementari regole di confronto con il territorio, solo (ancora) la necessità di un giusto equilibrio e, a un certo punto, di scegliere. Di fare, ma anche di non fare o fare diversamente: perché in 10-20-30 anni un territorio cambia più e più volte e se da un lato è impossibile ricominciare sempre daccapo (e in parallelo lamentarsi del fatto che le cose non vengano mai realizzate, perché questo succede...) dall’altro non si può continuare su soluzioni che rischiano di essere semplicemente superate dalla realtà. Nello specifico, il collegamento tra il capoluogo e la Bassa serve, è indubbio: se con le modalità pensate 30 anni fa è tutto un altro paio di maniche.

Bisogna decidere come farlo, esaminando anche eventuali alternative se reali ed efficaci, ma va fatto. E in fretta. Prima di veder scappare via un pezzo di futuro mentre si resta fermi in coda.

Ps: l’ultimo paragrafo del pezzo che state leggendo è pari pari la conclusione di uno pubblicato l’8 marzo 2019. Cinque anni dopo siamo ancora allo stesso punto. E non serve aggiungere altro.

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