Grano, intesa prorogata: un sospiro di sollievo

Il commento. A nove mesi dal suo inizio, l’invasione da parte della Russia non smette di causare distruzione e morte in Ucraina, continua tutt’oggi a violare ogni norma e principio di diritto internazionale, e protrae gli shock sul mercato energetico. Detto ciò, esiste almeno un fronte che è stato investito dal conflitto e rispetto al quale la situazione, invece di peggiorare, mostra lievi segnali di miglioramento.

Parliamo di quanto avviene nel settore alimentare, con ricadute – come vedremo – che ci riguardano da vicino. Nelle prime settimane dell’attacco, la Russia impedì gli attracchi e le partenze delle navi dai porti ucraini nel Mar Nero come Odessa, Čornomors’k e Južne. Una strategia che alimentò subito una fiammata dei prezzi delle materie prime agricole, contribuendo al rialzo dell’inflazione nei Paesi occidentali e mettendo a rischio la sicurezza alimentare di alcuni Stati – specie quelli che si affacciano sul Mediterraneo meridionale e orientale – fortemente dipendenti dalle importazioni. Alla vigilia della guerra, infatti, l’Ucraina era il primo esportatore mondiale di olio di girasole (con il 46% dell’export globale nel 2021), il quarto esportatore di mais (12% dell’export) e il quinto di grano tenero (9% dell’export).

Lo scorso luglio, per sventare una crisi alimentare che avrebbe potuto avere conseguenze sociali e politiche disastrose, sotto l’egida dell’Onu e su iniziativa della Turchia (alla quale appartiene tutta la costa meridionale del Mar Nero) è stata firmata un’intesa per consentire di nuovo alle navi di arrivare e partire dall’Ucraina con il loro carico di derrate purché sottoposte a ispezioni congiunte a bordo. L’intesa, che sarebbe dovuta rimanere in vigore fino al 19 novembre, è stata rinnovata lo scorso fine settimana per i prossimi quattro mesi. Possibile trarne un bilancio?

Secondo il centro studi italiano Divulga, il 41% del grano partito dai porti ucraini (2,9 milioni di tonnellate, in particolare di frumento tenero) ha raggiunto i Paesi asiatici, il 33% l’Europa e il 26% i Paesi africani. L’Italia - a pari merito con Tunisia, Algeria e Indonesia - è al quarto posto tra i Paesi riceventi con il 5% del totale, preceduta da Spagna (25%), Turchia (18%) e Bangladesh (9%). I Paesi europei sarebbero stati inoltre i principali beneficiari delle esportazioni ucraine di mais con il 60% dei carichi, mentre il 30% ha raggiunto l’Asia e il 10% l’Africa. Quanto infine all’olio di semi di girasole, è stata l’area asiatica la prima destinataria con il 77% del totale, India e Turchia in testa, seguita da Europa (22%) e Africa (1%).

Sono possibili tre brevi considerazioni. In primo luogo, l’intesa sui porti ucraini ha giovato all’Italia, visto che il mais arrivato dall’Ucraina ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai nostri allevatori che lo utilizzano per il mangime degli animali. Inoltre l’intesa, come osservato dal direttore di Divulga, il professore Felice Adinolfi, limitando importanti squilibri quantitativi nei mercati agricoli ha avuto un effetto positivo di medio-termine perché ha calmierato i prezzi a livello globale. Così si sono evitati – per ora – gli effetti più destabilizzanti nei Paesi la cui alimentazione della popolazione dipende dall’estero, specie nel Mediterraneo. Infine l’intesa, che è stata sospesa solo per alcuni giorni d’ottobre dalla Russia causando comunque un repentino rialzo dei prezzi agricoli, ci ricorda quanto noi tutti rimaniamo dipendenti da catene globali di produzione che faremmo bene ad «accorciare» o comunque a mettere il più possibile in sicurezza, anche promuovendo un maggior contributo della ricerca e dell’innovazione all’agricoltura europea.

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