I 5 Stelle implodono
il Governo traballa

Per prevedere cosa accadrà a metà gennaio quando ci sarà la mitologica «verifica» di governo – mai termine fu più tipico della Prima Repubblica – bisogna tenere gli occhi puntati su quanto che sta accadendo nel Movimento Cinque Stelle. Sta accadendo che la creatura di Grillo e Casaleggio padre rischia l’implosione. Guidato con mano sempre più debole da Luigi Di Maio, che pure tenta qualche gesto d’autorità minacciando sanzioni ai parlamentari che evadono i pagamenti, il Movimento subisce nel giro di un paio di settimane le dimissioni e la fuoriuscita del ministro Lorenzo Fioramonti e poi l’espulsione di Gianluigi Paragone.

Il primo è pronto a formare un gruppo parlamentare autonomo dove radunare il maggior numero possibile di grillini scontenti; il secondo minaccia fuoco e fiamme (anche in tribunale) contro i probiviri e Di Maio che lo hanno espulso («Sono il nulla guidati da un uomo da nulla») e soprattutto riceve la solidarietà di Alessandro Di Battista, da tempo ai margini del «cerchio magico» del potere ma ancora amato dalla base anche perché apertamente contrario all’alleanza con l’odiato Partito democratico. Tutto questo accade mentre i leghisti vanno dicendo di aspettarsi altri arrivi dopo i tre senatori pentastellati che già sono saliti sul Carroccio.

Questo per quanto riguarda il vertice. Pensate che negli enti locali le cose vadano più tranquillamente? A Roma si prepara una scissione tra la Raggi che vuole ricandidarsi e i suoi compagni di partito che temono il disastro (come dar loro torto?). Risultato: la Raggi capeggerà una sua lista civica e il M5S andrà per un’altra strada. Quanto a Torino (dove anche la Appendino medita di ricandidarsi) la maggioranza in consiglio comunale continua a perdere pezzi tra polemiche astiosissime.

Per concludere, si attende con curiosità l’esito delle elezioni regionali in Emilia Romagna. Il M5S non ha voluto appoggiare il candidato del Pd Bonaccini contro la leghista Borgonzoni ma rischia, correndo da solo, di precipitare dal 28 per cento delle politiche 2018 ad un misero 7-8 per cento: in pratica, la sparizione. Conclusione: la situazione interna del M5S è grave, promette di diventarlo ancor di più e si riverbera fatalmente sul governo e, appunto, sulla verifica di gennaio. Come potrà Conte – il quale ha ormai rapporti gelidi con Di Maio che ne teme la concorrenza – affidarsi al partito di maggioranza relativa che dovrebbe sostenerlo più di altri quando questo è percorso da fremiti di scomposizione? In queste condizioni il pilastro del governo su cui conta il presidente del Consiglio diventa il Pd. Che però è un partito che subisce malamente la riforma Bonafede della prescrizione, che non riesce ad ottenere da Di Maio la revisione dei decreti sicurezza di Salvini, che è profondamente scontento per come vengono gestite le crisi industriali, che sta contendendo ai grillini le centinaia di nomine di sottogoverno in scadenza, e soprattutto che guarda con grandissimo nervosismo al risultato delle elezioni in Emilia Romagna dove rischia di perdere la regione più «rossa» d’Italia.

Dall’esterno, Matteo Renzi guarda la scena e ne approfitta per preparare nuove incursioni corsare nella speranza che garantiscano alla sua Italia Viva la visibilità finora non conquistata. Così stando le cose, la verifica rischia di essere soltanto una parata per le telecamere. All’esterno di Palazzo Chigi intanto la Lega e Fratelli d’Italia nei sondaggi mantengono la maggioranza dei consensi: esattamente il contrario di ciò che si aspettavano Pd e M5S quando in agosto si sono alleati per sbarrare la strada a Salvini e a Giorgia Meloni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA