I partiti alla prova
del cambio di marcia
Caccia agli astenuti

Tra litigi e pacificazioni, assalti e ritirate, dichiarazioni di guerra e tregue armate, la vita del Conte bis è stata un continuo scaldarsi i muscoli senza mai entrare in partita. Nel frattempo la litigiosità è cresciuta e ormai in molti si chiedono chi sarà tra Renzi o Conte il primo a staccare la spina. Il paradosso è che nessuno dei due vuole le elezioni ma parimenti nessuno dei due vuole apparire il pavido che compie il passo indietro. Difficile prevedere chi confesserà il bluff. Certo è che nel frattempo, alla loro ombra, sono scattate grandi manovre.

L’intento inconfessato è di prepararsi allo scenario prossimo venturo che si appaleserà a pieno solo con le dimissioni di Conte. Non si sa ancora se e quando ci sarà la crisi né se si andrà poi a un voto anticipato.

Non è dato conoscere nemmeno con quale legge si eleggerà il nuovo Parlamento. Si sa però che per destra e sinistra, per Lega e Pd, è venuto il tempo di aggiornare le loro strategie. Zingaretti per un momento ha vagheggiato il progetto del «partito unico» con i Cinque Stelle, ma ha visto in Umbria a quali risultati porta. Al contempo non ha mai dismesso l’idea di costruire il famoso, ma sempre fumoso, «campo largo della sinistra»: fumoso perché, a parte le sparute, sparse forze della sinistra, non si capisce bene quali altri supporti pensi di recuperare per riuscire vittorioso.

Lo scampato pericolo di Bologna gli ha certo infuso fiducia, ma gli ha anche confermato che la formula vincente non è l’alleanza con l’armata in rotta del M5S, bensì con il largo fronte dei ceti produttivi che a livello nazionale non è mai riuscito a far marciare al suo fianco.

Anche per Salvini è venuta l’ora del cambio di marcia. È finito per il capo della Lega il tempo felice dei bagni di folla che hanno fatto lievitare il partito a livelli inimmaginabili solo un paio d’anni fa. Si sta accorgendo oggi che i voti non si contano solo, ma si debbono anche pesare: che è difficile divenire leader di una coalizione e, ancor più, premier di una nazione senza contare su una larga e solida rete di alleanze, in Italia e in Europa.

Per questo sono partite le grandi manovre. Renzi si è già mosso in Europa, portando Italia viva dal gruppo socialdemocratico a quello macroniano. Salvini sta personalmente abbassando i toni e per interposta persona (il «moderato» Giorgetti) esplicita che la Lega è pronta a passare dal gruppo dell’estrema destra del Front National e di Afd a quello dei conservatori.

In campo dem spicca il protagonismo del riconfermato governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini, che lascia intendere una sua disponibilità a candidarsi alla segreteria di partito in alternativa a Zingaretti, con l’obiettivo di replicare a Roma la ricetta riuscita vincente a Bologna. La posta in palio è chiara: la conquista di quell’opinione pubblica che sinora si è tenuta alla larga dalla politica gridata e dalle promesse irrealizzabili. I tempi e l’esito della sfida dipendono da molte variabili, prima fra tutte chi sarà dei leader in competizione a guadagnarsi la credibilità e la fiducia di questa fetta di elettori.

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