I problemi dei 5 Stelle inguaiano Conte e il Pd. E Grillo ora non aiuta

Ci mancava solo Grillo a inguaiare i 5 stelle, come se di guai non ne avessero abbastanza. In un colpo solo, con il suo video, il fondatore e garante (ma chiamiamolo col suo vero nome) il capo del M5S ha fatto piazza pulita delle battaglie simbolo del Movimento. Piazza pulita anzitutto del giustizialismo, ossia di quella vocazione grillina a emettere sentenze di colpevolezza a semplici indagati. Piazza pulita della sospensione della prescrizione, per cui un indagato resta tale in eterno. E, infine, piazza pulita della cosiddetta legge «Codice rosso», che innova la disciplina in tema di violenza sulle donne, estendendo da sei a dodici mesi i termini concessi alla persona offesa per sporgere denuncia.

Con ogni probabilità è stato l’amor filiale ad accecare l’indefesso banditore del «Vaffa». Pur di difendere il figlio, ha dato la stura a tutti i più vieti luoghi comuni del maschilismo e del macismo nostrano. Soprattutto, non ha valutato che è un uomo pubblico: il leader del (tuttora) primo partito italiano in Parlamento. La conseguenza è che i 5 Stelle si sono ritrovati inguaiati più di prima.

Inguaiati con l’opinione pubblica che in tempi di Me-Too ha alzato di molto la soglia della tolleranza nei confronti di chi calpesta i diritti delle donne. Inguaiati con il loro elettorato, che non è tutto disposto a perdonare, nemmeno al suo capo, intemerate contro il Codice rosso appena fatto votare dal ministro della Giustizia Bonafede o contro la magistratura elevata dal Movimento a custode della moralità pubblica (ora si affiderà a investigatori privati ha fatto sapere...).

Inguaiati col loro promesso partner di un’alleanza progressista, il Pd, che dei diritti (a 360 gradi) delle donne si è proposto con la segreteria Letta come alfiere intemerato. Pd che vive oggi il grande imbarazzo di doversi presentare agli elettori a braccetto del leader grillino, rifiutatosi di riconoscere a una ragazza il diritto di inoltrare denuncia per un (presunto) stupro subìto con il ritardo di una settimana. Inguaiati con i loro dirigenti e parlamentari, sempre pronti a elevare inni alla magistratura inquirente e ora divenuti improvvisamente afoni per paura di contrariare il «garante» nelle cui mani sta il loro destino.

Inguaiati col capo in pectore del Movimento, che si è trovato stretto tra l’incudine e il martello, tra la necessità - pena l’erosione della sua credibilità politica - di censurare il video incriminato di Grillo e la preoccupazione di non inimicarsi il patrocinatore della sua candidatura. Si era protestato risoluto avvocato del popolo e si rivela un timido avvocato delle donne. Ha riconosciuto infatti il diritto alla difesa della (presunta) vittima di uno stupro, non senza però far mancare comprensione a Grillo. I guai - è vero - non vengono mai soli e i 5 Stelle in quest’ultimo anno di guai ne hanno accumulati parecchi. Dimessosi Di Maio, sono rimasti senza guida. Hanno votato un direttorio senza riuscire a insediarlo. Hanno invocato un nuovo capo (Conte), che non si è mai insediato. Per di più, ora la procura di Cagliari ha nominato un curatore del M5S perché, scaduto il supplente Crimi, è «rimasto privo di rappresentanza legale». C’è poi il guaio principe dei 5 Stelle. Evangelizzati al verbo della democrazia digitale, si ritrovano a seguire i riti profani della democrazia parlamentare, con tutte le sue miserie: trasformismi, mediazioni, compromessi. Tutto questo non è certo la premessa ideale perché si possano presentare alle urne «più belli e più superbi che pria».

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