I segretari candidati ma in gioco è l’Europa

ITALIA. Di candidature la politica può anche morire. Soprattutto se la loro funzione istituzionale viene stravolta. Candidarsi significa chiedere agli elettori il mandato di rappresentarli nelle assemblee elettive.

Da qualche tempo, invece, da noi è invalso il costume di candidare a capolista i segretari di partito, chiamandoli a svolgere il ruolo, non di guida del futuro gruppo degli eletti, ma semplicemente di testimonial. Il loro impegno si limita infatti a sostenere la campagna elettorale del partito, dopo di che escono di scena. L’elettore, una volta sedotto, viene abbandonato.

Le ragioni di questo uso improprio, diciamo pure strumentale, delle candidature dei leader di partito per le elezioni europee, si possono ridurre a due. Innanzitutto, perché l’assemblea di Strasburgo riscuote nel nostro mondo politico un interesse assai scarso, in barba al ruolo crescente - anzi, decisivo, come s’è visto con il Covid e il Pnrr - che sta assumendo. È considerata una sinecura ben remunerata o un prepensionamento d’oro. In secondo luogo, perché il voto europeo è declassato a una sorta di verifica dei rapporti di forza elettorale, lo stesso ruolo che negli Usa svolgono le elezioni di «mid term», di metà legislatura.

È questa la ragione principale che spinge i partiti a valorizzare il ruolo delle candidature a prescindere da tutto, in primo luogo dal programma che, non a caso, è il grande assente della presente campagna elettorale. Si discute, si prende tempo, ci si appiglia su tutto fuorché sui grandi problemi che gli eletti saranno chiamati ad affrontare nell’assemblea di Strasburgo. Eppure, ce ne sono alcuni che addirittura mettono in gioco il destino dell’Europa, e di riflesso inevitabilmente il nostro.

Il ceto politico italiano non si rende evidentemente conto a pieno che stiamo vivendo un passaggio storico. Il nostro Continente, da centro del mondo che è stato per almeno quattro secoli, è dal Novecento che perde progressivamente posizioni. Al passaggio del terzo millennio, si è arrivati al culmine del processo. Il centro del mondo s’è spostato a oriente. Economia, geopolitica, tecnologia, ricerca trovano la loro forza propulsiva fuori d’Europa.

I focolai delle odierne guerre regionali - in Ucraina, Palestina, Mar Rosso, solo per citare i più incendiari - speriamo che non prefigurino, come teme il Pontefice, l’avvio di una Terza guerra mondiale, ma non possono nemmeno essere derubricati a guerre periferiche. Sono invece la riprova che è in atto una ridefinizione dell’ordine mondiale, al termine della quale rischiamo noi di risultare la parte perdente. Il parziale blocco, in atto in questi giorni, delle navi mercantili nel Mar Rosso è solo un assaggio dei danni che potrebbero derivare dal controllo dei mari da parte delle potenze di Cina e Russia. In questa ridefinizione degli equilibri planetari si staglia un problema cruciale aggiuntivo per l’Europa. Il Vecchio Continente, d’ora in poi, è condannato a far conto sulle sue sole forze. Gli Stati Uniti, che vinca Trump o meno, non hanno più l’intenzione - né la forza - di proteggerci sotto il loro ombrello militare.

I partiti italiani vogliono dirci qual è la loro strategia per fronteggiare una sfida di tal fatta? O sono preoccupati solo di raggranellare qualche voto in più per avvantaggiarsi nel gioco di potere interno, chiudendo gli occhi sul mondo che ci circonda? Di candidature, dunque, la grande politica potrebbe anche morire.

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