I sussidi non bastano
Servono investimenti

Nella storia della Repubblica si è sempre parlato di eccessi di spesa pubblica e aumento del debito, ma mai nessun Governo ha avuto mano libera come in questo momento. Senza più il patto di stabilità europeo, chi ha i cordoni della borsa può promettere qualunque cosa senza temere nemmeno lo stigma. Nei primi anni del dopoguerra, quella classe politica (De Gasperi, Einaudi) lo stigma se lo assegnava da sola, con il dovere dell’austerità. Poi, per decenni, lo stigma è arrivato solo a posteriori, con tutta l’ipocrisia del caso. Nel nuovo secolo, proprio mentre la produttività si azzerava e l’euro neutralizzava l’inflazione che così non inghiottiva più il debito, abbiamo avuto il vincolo esterno, l’Europa. Caduto (ma a termine) anche quello, la spesa oggi si chiama bonus, esenzioni, rinvii, sospensioni, ristori.

È facile governare così. A chi non piacerebbe regolare solo il rubinetto delle uscite senza il dolore delle tasse e dei tagli?

La crisi Covid ha cambiato tutto, ed è giusto, ma i debiti alla fine vanno pagati, con buona pace di David Sassoli. La vera politica è difficile, perché non è solo assegnare sussidi, ma costruire il futuro già oggi. Per l’Italia, tornare «a come si stava prima» non è come per gli altri: quando tutto è cominciato, eravamo sull’orlo di una nuova recessione. Poi, causa pandemia, il debito è salito dal 134,8 al 159,6%. Secondo gli economisti del Centro Einaudi di Torino, il primo lockdown è costato 224 miliardi e il secondo, fino al 3 dicembre, altri 32. Come si vede, si supera abbondantemente il valore dei 209 miliardi che arriveranno da Bruxelles per il Recovery. Non basterebbe neppure aggiungere i 27 del Mes, per giunta bloccati da sovranisti nell’inerzia Pd.

La differenza tra un idraulico della spesa e uno statista è nella capacità di analisi e di investimento. Ci sono oggi almeno tre Italie: quella dei garantiti a cui il Covid non ha creato problemi; quella dei non garantiti, che ha buttato sul lastrico categorie intere del lavoro autonomo e quasi tutto il lavoro nero, e infine quella che addirittura ci ha guadagnato. Segmenti diversi richiedono comportamenti diversi, anche agendo già adesso sulle leve fiscali e i tagli.

Quanto agli investimenti, dovrebbe occuparsene l’esercito dei 300 (!) consulenti per far atterrare bene i miliardi europei, e c’è la legge di bilancio, un mostro di 232 articoli e altri 39 miliardi. Peccato che è in ritardo di un mese e dunque Camera e Senato non potranno (di nuovo!) discuterla. Andrà via a colpi di voti di fiducia. E invece ci sarebbe molto da rivedere, se è vero che solo il 25% è investimento. Domina sempre la spesa corrente, quella che ogni nuova maggioranza pompa allegramente solo perché promessa nei comizi precedenti. E intanto? Intanto galoppano problemi che corrono come fiumi carsici e che quando verranno alla superficie faranno molto male. No, non ci riferiamo alle grandi riforme. Di giustizia, ad esempio, non si parla. Di istituzioni ancor meno.

C’è un iceberg di crisi aziendali non risolte, che costeranno miliardi ai contribuenti: Autostrade, Alitalia, Ilva, Aeroporti, Monte dei Paschi. Per Alitalia sono già stanziati 3 miliardi, da aggiungere secondo il 24Ore, a 12 miliardi e 615 milioni buttati. Per gli aeroporti svuotati dal Covid, un altro miliardo e mezzo almeno. Per Monte Paschi l’esborso è già stato di 5,4 miliardi, più 1,8 di prestiti inesigibili. Serviranno, per venderlo, quasi due miliardi freschi. Per Atlantia, il prezzo è ancora alto e, se CdP si ritira, la revoca costa da 7 a 25 miliardi. Per Ilva la rinazionalizzazione costa casse integrazioni infinite e almeno un altro miliardo di denaro fresco. Insomma, c’è da temere che il giorno felice in cui finirà l’emergenza sanitaria, esploda una bolla spaventosa. Per la quale non c’è il vaccino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA