Il crollo dei 5 Stelle
Il Governo non rischia

La domanda che in queste ore, molti si fanno è: che fine farà il governo dopo l’ennesima scoppola elettorale ricevuta da Di Maio e dal suo Movimento? Probabilmente non ci sarà uno strappo decisivo. È invece verosimile un continuo terremoto politico unito ad un crescente immobilismo decisionale. Almeno fino a maggio, quando alle elezioni europee, grazie al sistema elettorale proporzionale, ogni partito verrà «pesato» per il consenso che ha effettivamente nel Paese. Per il momento, guardando solo alle regioni (prima Abruzzo, poi Sardegna) si può dire che mai si era visto un patrimonio elettorale svaporare a questa velocità. In Sardegna il M5S il 4 marzo 2018, solo undici mesi fa, brindò ad un fantastico 42%; ora è tracollato sotto il 10%. Da 350 mila a meno di 60 mila voti.

Quarto partito in consiglio regionale. Peggio che in Abruzzo, dove pure la botta è stata fortissima, ma in linea con quello che i sondaggi registrano costantemente da mesi: il consenso grillino nel Paese supera di poco il 20%, ben al di sotto del 32 delle politiche. Che faranno Di Maio, Casaleggio, Grillo? Per il momento, a parte allestire qualche debole trincea propagandistica, danno una risposta puramente organizzativa: si annuncia una riforma della struttura interna. Per il resto: «Il governo va avanti». «Non cambia nulla sul piano nazionale». Spiegazioni della Caporetto? «Alle amministrative andiamo sempre peggio che alle politiche e poi noi non avevamo le tante liste degli altri». A dare una risposta più credibile è la minoranza interna che, forte dell’affermazione nel voto on line su Salvini, alza la voce per dire che è l’alleanza di Di Maio con il leader leghista che sta sbriciolando il Movimento, che gli sta mangiando l’anima portandolo lontano dai suoi propositi iniziali, compromesso dopo compromesso.

È rimasta solo l’opposizione strenua alla Tav a marcare l’identità del Movimento: per il resto Di Maio ha ceduto su quasi tutto in cambio di un reddito di cittadinanza drasticamente ridimensionato dalla scarsità delle risorse e che chissà quando darà i suoi risultati. La gravità della crisi grillina è proporzionale all’enormità delle aspettative suscitate. Quanto alla Lega: Salvini porta il centrodestra e il suo candidato sardo alla vittoria dilagando fino a circa il 50% dei voti ma, nonostante l’impegno profuso con i sardi, pastori compresi, non raccoglie – come partito – lo stesso entusiasmante risultato dell’Abruzzo: la lista leghista cresce dal 10 al 12%. Il «Capitano» si aspettava di meglio. Ma quello che sicuramente di più lo farà pensare è proprio il crollo dell’alleato. Anche quando rassicura sulla durata del Governo («Andiamo avanti per cinque anni») Salvini non riesce a nascondere la preoccupazione per un immobilismo crescente del Governo che potrebbe mettere a rischio il progetto dell’autonomia rafforzata di Veneto e Lombardia su cui la Lega non può fare sconti. Il timore è per il panico che facilmente potrebbe dilagare tra i ministri pentastellati portandoli su posizioni intransigenti nel tentativo di recuperare consensi. Del resto, far saltare ora il Governo non darebbe a Salvini la garanzia di andare subito ad elezioni.

Quanto al centrosinistra. Zedda in Sardegna e Legnini in Abruzzo hanno dimostrato che quell’area politica non si è desertificata, a patto che si scelgano candidati credibili e si lavori ad allargare la coalizione. La sinistra ha perso due regioni che governava ma quel 30% di voti che ha raccolto dimostra che c’è vita su quel pianeta. Non solo: proprio la crisi dei Cinque Stelle potrebbe riportare in auge il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra dato per morto e sepolto. Sempre, naturalmente, che i capi del Pd non si facciano del male da soli.

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