Il futuro mette radici nella cura dell’altro

ITALIA. Dal sangue versato nel martirio nascono i fiori. È la rappresentazione forte che il pittore Enea Salmeggia, detto «Il Talpino» inserisce in un dipinto del Ciclo della vita di Sant’Alessandro, realizzato all’inizio del Seicento, offrendo un messaggio di speranza ancora forte e attuale.

Parte proprio da qui, da questa immagine di speranza, l’eredità del santo patrono che oggi la nostra città raccoglie, interpretandone la festa non solo come una bella tradizione, ma come una sorta di «laboratorio di comunità», in cui si uniscono voci, realtà, esperienze diverse. Il filo conduttore, «Abitare il futuro», invita ad aprire lo sguardo sull’orizzonte, a preoccuparsi di ciò che sarà. E certamente oggi, in tempi difficili, non è facile parlarne in modo convincente, in una società che si mostra spesso conflittuale, ripiegata su se stessa, pronta ad alzare scudi più che a costruire ponti, arroccata su posizioni protezionistiche che infiacchiscono qualsiasi slancio. In una condizione generale di estrema confusione culturale e sociale, scegliere questo tema è sicuramente un atto di fiducia, nato dal desiderio di creare un terreno comune sul quale «far germogliare fiori», cioè avviare processi che generino collaborazione, rispetto, dialogo, riflessione come fondamenti di convivenza pacifica, strumenti utili, insomma, per affrontare (insieme) le sfide complesse della contemporaneità. Un processo che parte da questioni concrete che riguardano la città e in cui tutte le componenti istituzionali, culturali e sociali sono coinvolte con un ruolo da protagoniste, e non solo fruitrici.

L’attenzione ai più fragili

Gli incontri del Triduo hanno messo a tema il futuro a partire dal presente e da alcuni luoghi della città nati come opere a disposizione di tutti, realizzate a sostegno delle persone più vulnerabili e in difficoltà. Una tappa nella Casa minori e famiglia Marina Lerma, che si prende cura di bambini con disabilità complesse e fragilità, anche nel percorso di fine vita. La seconda al Patronato San Vincenzo, luogo nato dal sogno di don Bepo Vavassori, dedicato alla carità e all’accoglienza.

E infine la terza al Teatro Sant’Andrea in Città Alta, come luogo frequentato da studenti universitari, per dare spazio al confronto tra generazioni, lasciando il palcoscenico ai giovani perché esprimessero le loro attese, inquietudini e visioni. Dai tre incontri è emersa con forza una chiave di lettura importante: il futuro mette radici nello stile e nella cura delle relazioni. Dalla tensione costruttiva che nasce quando c’è la volontà di mettersi in gioco a servizio di un bene comune. C’è anche un altro aspetto interessante: il futuro non è solo quello delle «magnifiche sorti e progressive» che già apparivano illusorie a Leopardi, ma si edifica (anche) sulle spalle dei piccoli, degli umili, di chi si sente timoroso e smarrito, ma pure custodisce delle attese. Sono in fondo questi i terreni in cui si mette maggiormente alla prova la «tenuta» di una comunità, la sua capacità di allargarsi e includere, e perfino di imparare da chi offre una prospettiva diversa della realtà. Da chi in qualche modo ci costringe a mettere il mondo «sottosopra», e propone una diversa scala di valori, lasciando da parte il superfluo e puntando piuttosto all’essenziale.

L’importanza del dono

Colpisce il racconto dei volontari della Casa Marina Lerma: stanno accanto a bambini che spesso non possono parlare e comunicano con minimi gesti e sguardi. Accanto a loro imparano l’importanza di «esserci», perché a volte basta questo - l’attenzione, la presenza -, per renderli felici e offrire straordinarie, indimenticabili «lezioni d’amore» con il movimento di un dito, con un sorriso inatteso. Dal punto di vista di questi bambini il futuro inizia dalla cura di ogni momento, dalla capacità di mantenere il cuore aperto, in un luogo dove si può scoprire che, come scrive Montale «un imprevisto è la sola speranza».

In questo contesto «Abitare il futuro» è una continua sfida, che non finisce con la festa del patrono, ma coinvolge e mette alla prova tutti, nessuno escluso, chiedendo di prendere posizione e di compiere scelte coerenti con il desiderio di generare - e di affidare a chi verrà domani - luoghi e legami di corresponsabilità e condivisione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA