Il mercato del lavoro finalmente scongelato dopo l’incertezza

In provincia di Bergamo anche l’occupazione pare avere superato la pandemia e oggi gode indubbiamente di buona salute. I numeri diffusi ieri dall’Osservatorio della Provincia certificano lo «scongelamento» del mercato del lavoro dopo la lunga fase di incertezza durata dal febbraio 2020 al primo trimestre del 2021. I numeri alla fine dell’anno scorso parlano di un saldo positivo di oltre 7 mila posti rispetto all’anno buio del Covid (il 2020).

Del resto non è un mistero che la locomotiva dell’economia bergamasca sta viaggiando a pieno ritmo. Anche le stime sull’andamento del primo trimestre sono positive per quasi tutti i settori. Resta la prudenza degli imprenditori sulle previsioni per l’autunno.

Con un tasso di disoccupazione del 3,5%, il più basso d’Italia insieme a quello di Pordenone, sarebbe scontato dire che a Bergamo criticità sul fronte del mercato del lavoro non ce ne sono. Ancora troppi i contratti a tempo determinato e di somministrazione (orrenda definizione), frutto dell’incertezza dei tempi di guerra è la spiegazione più semplice o semplicistica, che viene data il più delle volte. Ma è così da anni, ormai. A farne le spese sono soprattutto i giovani, spesso anche laureati, costretti ad attendere anni prima di entrare stabilmente nel mondo del lavoro, rinviando così l’obiettivo di farsi una famiglia o più semplicemente, di scrollarsi di dosso quella fastidiosa precarietà che tarpa le ali a molte ambizioni. A pagare lo scotto ancora più pesante, i cosiddetti «fragili», quell’esercito di donne e uomini, italiani e stranieri, in età da lavoro ma con scarse competenze, destinato a coprire quei posti che più di altri sono in balia degli incerti venti delle richieste estemporanee del mercato. Logistica docet.

A fronte di questo, a Bergamo la ricerca di personale continua ad essere alta con picchi da «allarme rosso» per il settore della ristorazione e dei bar. Stessa sofferenza nell’edilizia, e più in generale dell’ampia filiera delle costruzioni: trovare muratori, cartongessisti, piastrellisti è un’impresa titanica. Sui radar non compaio più nemmeno i famosi idraulici polacchi accusati, negli anni pre pandemia, di dumping salariale. Non parliamo poi dei camionisti. Merce rarissima dopo la scomparsa dal mercato delle frotte di autisti dell’Est Europa, effetto collaterale anche della guerra in Ucraina e delle tensioni geopolitiche nel Vecchio Continente che stanno ridisegnando velocemente le rotte del trasporto delle merci.

Spazi di crescita dei numeri dell’occupazione in Bergamasca, dunque, non mancano. Le buone notizie vengono dall’aumento delle donne impegnate in un lavoro fuori dalle mura domestiche (+35,5%) con numeri che ci avvicinano alla media regionale. Chissà se questo, al netto del recupero dei numeri lasciati sul campo nei mesi più duri della pandemia, è segno di un cambiamento generazionale che porta a considerare il lavoro come un tassello verso la piena emancipazione. I freddi dati statistici non lo rivelano, così come non ci dicono se a contribuire all’aumento delle donne nelle fabbriche, negli uffici, a scuola o sui cantieri è il risultato delle iniziative messe in campo dalle aziende e dalle amministrazioni pubbliche più lungimiranti sul tema della conciliazione del lavoro con la cura dei figli e, aggiungerei, degli anziani. Potrebbe essere così visto che salgono nettamente le assunzioni a tempo pieno (+40,2%) rispetto a quelle part-time, formula in genere preferita quando a carico c’è la famiglia. Lo smart working per alcune professioni, eredità della pandemia, viene certamente in aiuto. Solo il tempo, però, ci dirà se la crescita dell’occupazione femminile nell’ultimo anno è semplice caso oppure è destinata a diventare un ulteriore elemento strutturale dell’economia bergamasca. Indubbiamente positivo.

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