Il nodo poltrone
per risolvere il rebus

Mario Draghi apparentemente non ha fretta: il suo secondo giro di consultazioni con i partiti che si conclude oggi gli dovrebbe comunque dare gli elementi sufficienti per salire al Quirinale, riferire a Mattarella e decidere con lui il profilo del governo. Nel frattempo la Borsa di Milano continua a brindare al suo successo e lo spread a scendere (ieri ha toccato quota 94): questo indubbiamente non attenua l’urgenza dei problemi sul tappeto ma inserisce il mandato dell’ex presidente della Bce in un contesto positivo: i mercati approvano, esattamente come l’Europa. Tutti si aspettano che esca un governo di «alto profilo», per usare le parole del capo dello Stato, che tiri fuori l’Italia dai guai che la classe politica non è in grado di risolvere. Di sicuro il nuovo governo avrà un largo consenso parlamentare: alla vecchia maggioranza si è unita Forza Italia, le lacerazioni dei grillini (Di Battista e gli ex ministri Lezzi e Toninelli contestano il sì di Grillo e Di Maio) si calmeranno con il voto sulla piattaforma Rousseau che certo non deluderà le attese dei capi; la Lega è in deciso avvicinamento. I voti ci sono, sia alla Camera e al Senato.

Ma tutti questi sostegni come si tradurranno nella composizione dell’esecutivo? Ci saranno ministri solo tecnici (come fu con il governo Monti) o tecnici e politici insieme (come Ciampi)? E, in questo secondo caso, i politici saranno i leader dei partiti o si ripiegherà su figure importanti ma non così impegnative? Sono scelte che Draghi farà d’accordo con Mattarella: entrambi hanno visto i partiti piano piano arrivare a dire sì all’appello del capo dello Stato, poi irrigidirsi per veti reciproci (soprattutto dopo l’adesione della Lega che ha irritato Pd, LeU e M5S), infine cercare di mettere il più possibile le bandierine sul programma del nuovo governo per poter rivendicare una qualche primazia.

Tutte questioni che si riflettono immediatamente sulla composizione delle poltrone: se un gabinetto composto dai segretari o leader (Zingaretti, Di Maio, Berlusconi, Salvini) sembra francamente difficile da realizzare, si fa strada l’idea di impegnare i generali (Franceschini per il Pd, Giorgetti per la Lega, Taiani per Forza Italia ecc.). Il Pd fa sapere, per esempio, che se la Lega parteciperà al governo, non esprimerà ministri politici ma solo tecnici d’area. Di sicuro poi c’è un problema Di Maio, che vuol rimanere a fare il ministro degli Esteri, ma certo non potrebbe essere l’unico politico, mentre sembra chiuso il «caso Conte» con l’autoesclusione di quest’ultimo, destinato a risalire la china mettendosi alla guida del Movimento. Quanto a LeU, la sinistra radicale ha un solo ministro ma strategico e perdipiù stimato: Roberto Speranza alla Sanità difficilmente sarà cambiato in piena campagna vaccinale.

Insomma, un garbuglio dal quale un uomo abile come Mario Draghi e un politico di lunghissimo corso come Mattarella dovranno uscire. Entrambi hanno affrontato questioni ben più complesse di questa giostra di partiti che non sono riusciti a dare un governo al Paese e si sono dovuti accodare all’uomo scelto dal Presidente della Repubblica. E i grandi problemi sono quelli della campagna vaccinale e della ripresa economica, quindi della buona utilizzazione dei 209 miliardi che l’Europa ci darà solo se vedrà progetti precisi e credibili e non vaghe promesse. Per questo Draghi è intenzionato a promuovere le riforma della Giustizia, della Pubblica Amministrazione e del Fisco. E qui, come prevede Emma Bonino, verranno i tempi difficili anche per super Mario.

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