Il passo di Conte
La partita della Ue

Mai nessun governo della Repubblica s’è trovato a dover gestire un’emergenza di queste proporzioni, divenuta crisi internazionale. Lo si può chiedere per competenza anche a Trump che, dopo la sconcertante inerzia delle scorse settimane, mette in campo qualcosa di mai visto, come duemila miliardi di dollari per ripartire: più un’arma nucleare che un bazooka, una liquidità pubblica tale da mettere in discussione i fondamentali del capitalismo anglosassone. Una crisi che tutti chiamano guerra e che Mario Draghi, uno che parla poco ma che coglie nel segno, ha definito «tragedia potenzialmente dalle dimensioni bibliche».

Il senso delle proporzioni e l’intelligenza di capire che siamo un po’ tutti disarmati dovrebbero suggerire più domande che risposte e del resto una conoscenza precisa di un fenomeno complesso qual è il coronavirus non ce l’hanno neanche i ricercatori. Sbaglia, dunque, chi soffia sul fuoco, perché nei momenti cruciali della Repubblica gli italiani sono stati dalla parte della responsabilità e non da quella degli apprendisti stregoni. Non è il tempo dei piccoli protagonismi e dell’orticello di casa. Anche in questa circostanza, a parte alcune sbavature, ci è stata riconosciuta resilienza organizzativa e sociale.

Se ne esce tutti insieme, ma c’è un tempo per tutto: oggi è quello dell’azione e della responsabilità. A dirlo e a ripeterlo è il premier Giuseppe Conte: quello che era un outsider oggi è un capo di governo legittimato da un consenso (secondo i sondaggi) che si mantiene sul 51%. Una fiducia che va testata sul campo. L’epidemia e le sue ricadute, che si prolungheranno oltre la fine del «tutti a casa», hanno tre dimensioni: sanitaria, economica e di valori. La gerarchia è comunque chiara: prima la tutela della salute, poi tutto il resto, nel senso che nel frattempo si cerca, nei limiti delle condizioni date, di mettere in sicurezza il paziente Italia che è già in terapia intensiva. Si annuncia un dopo in cui i vinti saranno tanti. Ci sono stati alcuni errori, qualche falla nella comunicazione, un difficile rapporto con le Regioni, specie quelle del Nord schierate in prima linea, una sovrapposizione di competenze fra il centro e la periferia. Ma si può e si deve rimediare, purché si faccia in fretta: il tempo è tutto. Lo stesso capo del governo, parlamentarizzando la crisi con i suoi interventi alle Camere, è uscito da una certa solitudine: un cambio di passo necessario guardando ad una prospettiva costruttiva.

Sbaglia anche chi si sofferma sulle provinciali controversie di Palazzo, che stanno a margine come un piccolo mondo antico. La casa brucia, almeno su questo si è d’accordo. La partita, la dura partita, è in Europa come vediamo in queste ore con il vertice dei leader della Ue (che non pare affatto promettente per l’Italia). Lo è per una elementare questione di grandezze, per una legittima richiesta di solidarietà da parte dell’Italia e perché lo choc è simmetrico: colpisce tutti per colpa di nessuno. Simmetrico, ma anche selettivo: l’Italia è stata la prima democrazia occidentale a blindarsi e con la Spagna (oggi nel pieno del dramma) condivide la debolezza economica. Entrambi i Paesi hanno incrociato il virus in un momento di fragilità politica. Lo schema del governo Conte, nato sotto l’ombrello di Bruxelles e Berlino, è appunto quello di riuscire a gestire lo snodo Europa quale variabile interna della politica italiana.

Una sopravvivenza e una ricostruzione post pandemia che risiedono nelle stanze della Ue, dove già sono andati in frantumi i vecchi reperti dell’austerità: l’acquisto di titoli per 750 miliardi da parte della Bce, lo stop al Patto di stabilità e al divieto degli aiuti di Stato. Manca l’ultimo miglio che può avere uno o più strumenti espansivi e che comunque passa dalla condivisione europea dei debiti sovrani per immettere liquidità nell’economia reale. Questa è la partita della vita in una fase in cui la crescita, dopo la recessione degli anni scorsi, non è più nell’ordine naturale delle cose e dove è in corso un duro scontro fra democrazie parlamentari e democrazie autoritarie: o l’Europa dimostra di rappresentare l’unica via d’uscita possibile, per tutti a cominciare dall’Italia, o è destinata al fallimento, consegnando un formidabile argomento a chi è convinto che l’Ue è il problema e non la soluzione di tutti i nostri guai. Una strada in salita: i Paesi del Nord, prigionieri di una mentalità dogmatica del passato, continuano a non volere la mutualizzazione dei debiti e Conte, ieri sera, ha respinto la bozza di alcuni leader europei. Ci sono ancora dieci giorni per decidere.

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