Il Pd cerca i voti scappati e andati ai grillini
Zingaretti si guardi le spalle

Oggi è la giornata di Nicola Zingaretti: il trionfatore delle primarie del Pd sarà acclamato segretario dall’assemblea nazionale. L’appuntamento è interessante non per la ratifica notarile o per i giochi che si stanno ancora sviluppando tra le correnti intorno alla spartizione dei posti al vertice. Paolo Gentiloni diventerà presidente, Matteo Renzi sarà lontano per motivi, giura, «strettamente personali», i suoi seguaci si stanno regolando come meglio credono. Ma questi sono fatti loro. Viceversa è importante capire se Zingaretti sin dall’assemblea di oggi saprà far uscire finalmente il Pd dalla caverna nella quale si è rincantucciato dopo la catastrofe delle elezioni del 4 marzo 2018.

L’operazione sembrerebbe impossibile, ma c’è chi dà una mano: sono i grillini che, con la loro crisi elettorale, possono regalare ai democratici un’altra occasione. Fateci caso. Nelle due ultime elezioni regionali, il Pd ha perso sia la guida dell’Abruzzo che della Sardegna. Però questa sconfitta è stata quasi oscurata dal crollo del M5S che ha dimezzato i suoi voti ed è diventato il terzo partito, da primo che era. In questa rincorsa verso il basso, il Pd è dunque tornato ad essere il secondo partito italiano, almeno in quelle due regioni. Non solo: grazie alla combinazione di alleanze locali e di liste civiche prive del simbolo piddino, la coalizione di centrosinistra ha toccato la ragguardevole quota del 30%. Non è escluso che la stessa cosa succeda domenica 24 in Basilicata: dopo l’arresto del governatore Pittella, ci si attende che i democratici perdano anche il governatore di Potenza ma tutti prevedono soprattutto un disastro grillino. Se così accadrà, tutti noi saremo autorizzati a dire che il sistema politico italiano, a meno di un anno dalla nascita del governo gialloverde, si sta incanalando di nuovo verso il vecchio bipolarismo centrodestra-centrosinistra marginalizzando la variante grillina. Questo risultato dovrebbe ripetersi nel modo più eclatante alle elezioni europee di fine maggio.

Quando i pronostici dicono che avremo una larghissima coalizione di centrodestra (intorno al 50%) con la Lega indiscutibilmente egemone, e una coalizione minoritaria di centrosinistra. In terza posizione un M5S in crisi politica, elettorale e, di conseguenza, di leadership. Se andrà così, tempo pochi mesi torneremo di nuovo a votare, e questa volta per le politiche. Ecco perché è importante la giornata di oggi: per capire se Zingaretti e il gruppo dirigente che lo affianca sono in grado di agguantare questa opportunità che il destino torna ad offrire al centrosinistra: potrebbero tornare a casa gli elettori che se ne sono andati per dare fiducia ai grillini o anche quelli che si sono rifugiati nell’astensionismo perché Renzi gli faceva venire l’orticaria. A questo mondo che probabilmente si è pentito della fuga e che è atterrito dalla supremazia leghista prossima ventura, Zingaretti presenterà un volto di sinistra-sinistra, con un tocco di ambientalismo spinto, ben diversa da quella moderata alla Renzi. Non sarà la vecchia e usurata «ditta» ex comunista di Bersani e D’Alema ma certo da quella discende e anche con quella prova a risalire la china.

Ci sono tante questioni da risolvere – i rapporti con Calenda e la sua lista unitaria alle europee che già sembra aver perso slancio, o anche la grana dei fuoriusciti dal partito – ma di sicuro Zingaretti si presenterà come il «nuovo». O meglio, come l’usato sicuro: «Vedete il governo Salvini-Di Maio quanti pasticci sta combinando?» dirà il neo-segretario, «ecco, noi siamo l’unica alternativa possibile». L’operazione potrebbe anche riuscire se non fosse che in genere il centrosinistra è il peggior nemico di se stesso. Zingaretti dovrà guardarsi soprattutto le spalle per evitare che ricominci il solito, vecchio gioco di affondare la barca su cui si sta pur di vedere annegare il timoniere.

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