Il premier traballa
ma sa galleggiare

Adesso la partita è nelle mani dell’arbitro. Sergio Mattarella, con le dimissioni di Giuseppe Conte, assume su di sé l’onere della conduzione della crisi per portarla, nel più breve tempo possibile, ad una soluzione oppure - se soluzione non si troverà - per predisporre nuove elezioni o subito o mediante un governo tecnico transitorio. Con le consultazioni, il Capo dello Stato verificherà le posizioni dei partiti e da lì trarrà le sue conclusioni: per questa ragione il reincarico a Conte in questo momento non è scontato come pure fanno mostra di credere gli attori della maggioranza. Conte avrà di nuovo l’incarico se Mattarella si renderà conto che è possibile per lui costruire una maggioranza in grado di reggere stabilmente il governo: non un raccogliticcio esercito di Franceschiello ma una coalizione di gruppi parlamentari con nome e cognome. Primo problema: per il momento Conte non ha trovato i voti necessari e dunque non esiste un gruppo ufficiale di «volenterosi» in grado di salire al Quirinale e dire «io ci sto». Magari è in formazione quel gruppo - in parte alla Camera, in forse al Senato - ma per ora ufficialmente non se ne conosce traccia.

Dunque per il momento i partiti possono essere divisi in due gruppi. Nel primo, Pd, M5S e Leu diranno al Capo dello Stato che sono pronti a partecipare ad un governo presieduto da Conte nella sua terza versione politica. Nel secondo, Italia Viva e Forza Italia diranno che sono disposti a ragionare su un coinvolgimento governativo (ma solo in versione «unità nazionale» per Berlusconi) a patto che Conte faccia un passo indietro. Il punto è che i tre partiti del primo gruppo non riescono a formare la maggioranza senza almeno uno dei due del secondo gruppo. Insomma, serve Renzi e/o Berlusconi. Che non vogliono Conte ma qualcun altro. Conclusione: se non si materializzano nelle prossime 48 ore due gruppi parlamentari di «responsabili» pronti a dare i loro voti a Conte, bisognerà accettare le condizioni di Italia Viva o di Forza Italia. Cioè via Conte. Faceva bene l’avvocato a non fidarsi, a non voler dare le dimissioni, a ripetere che «chi entra Papa in Conclave ne esce cardinale», che una volta mollato Palazzo Chigi riprenderselo è difficile. Adesso si gioca a tutto campo e ognuno ha i suoi interessi. Per esempio, il Pd ha interesse che si faccia rapidamente un governo ma, per quanto lo sostenga, non si impiccherà al nome di Conte. Di Maio ha sì interesse a rimanere in sella ma certo non piangerebbe se vedesse sparire colui che in due anni lo ha decisamente oscurato. Quindi entrambi potrebbero essere tentati di «cedere» alle condizioni di Renzi e Berlusconi. Di questi ultimi, il primo potrebbe agitare lo scalpo del premier attribuendosi la svolta decisionista di un nuovo governo; il secondo rientrerebbe insperabilmente in partita e si smarcherebbe dal soffocante predominio di Salvini e Meloni (oltretutto garantendo ai suoi parlamentari una bella dose di poltrone). Ripetiamo, tutto questo ragionamento sta in piedi solo nell’ipotesi che i Responsabili restino accucciati tra le foglie come dei viet cong: magari invece ci meravigliano e ci dimostrano che il loro lavorio ha avuto dei risultati. Che però, attenzione, devono convincere soprattutto Mattarella che non è certo uno che non capisca le situazioni e non le sappia valutare.

Da Bruxelles hanno fatto sapere a più riprese che a loro interessa che la crisi si chiuda in fretta e che a Roma ci sia qualcuno al timone, che poi sia Conte o no, non è questione di straordinaria importanza. Un altro segnale non particolarmente incoraggiante per il presidente dimissionario il quale però per quanto faccia politica da poco e venga dal nulla, tuttavia ha imparato benissimo le regole dello stare al mondo. E soprattutto dello stare a galla.

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