Il ritardo logistico costa caro all’Italia

ITALIA. Le sfide che il nostro Paese si trova ad affrontare sono condizionate in misura rilevante dal livello di sviluppo logistico e infrastrutturale.

Oggi ci troviamo molto spesso a fare i conti con un collo di bottiglia che non consente ai nostri settori produttivi, in misura più o meno consistente, di esprimere appieno le loro elevate capacità in campo internazionale. Secondo gli ultimi dati elaborati da Istat e Sace, il ritardo logistico dell’Italia è costato oltre 93 miliardi di euro di mancate esportazioni nel 2022, pari al 15% del valore complessivo dell’export nazionale. Il settore alimentare, a causa dell’alta deperibilità dei prodotti e dell’elevata capillarità del tessuto produttivo, è tra i più colpiti con 9 miliardi di perdite, nonostante abbia raggiunto a fine 2022 valori record con 61 miliardi di esportazioni. Effetti ancora più critici si rilevano in altri settori. Nel tessile con 9,7 miliardi di euro, nei metalli e manufatti con 11 miliardi, nei prodotti chimici con 16,8 miliardi. Al primo posto si colloca il settore delle macchine e degli apparecchi meccanici, che registra un danno stimato di 23,1 miliardi di euro.

Il nostro modello logistico si presenta da tempo ampiamente sbilanciato. L’80% delle merci movimentate viaggia su gomma con valori che posizionano l’Italia ai primi posti in Europa e che risultano superiori anche alla media Ue, pari al 77%. La rete ferroviaria si ferma ad appena il 13% delle merci movimentate e pesa enormemente l’assenza di doppi binari presenti solo nel 43% delle linee. Emerge anche in modo evidente il gap tra le aree del Paese, con il Mezzogiorno che risente di un ritardo logistico nettamente superiore. Per poter ridimensionare questo squilibrio logistico, è cruciale avviare strategie immediate che, sfruttando le opportunità rese possibili dai fondi messi a disposizione del Pnrr, si concentrino su interventi in grado di accrescere e ammodernare la rete ferroviaria rendendola agevolmente fruibile in tutto il territorio nazionale. Altrettanto dovrà essere fatto per l’aggiornamento della rete autostradale che è ancora carente in molte zone e in altre si presenta satura. L’insieme di questi interventi dovrà mirare a rendere possibile uno sviluppo sinergico di diverse alternative, in un’ottica di «intermodalità».

Un’iniziativa molto interessante e per molti versi innovativa che si muove in tale direzione è quella rappresentata dall’accordo intervenuto tra Msc, una delle più grandi compagnie di trasporto marittimo di cui è proprietario Gianluigi Aponte, e la rete ferroviaria Italo fondata da Luca di Montezemolo e da altri soci come Alberto Bombassei e Isabella Seragnoli. L’accordo ha riguardato anche Italbus, la controllata di Italo che si occupa di trasporto su strada. L’operazione, che dovrà essere approvata dalle autorità di regolazione europee, ha un valore di 4,2 miliardi di euro e andrà a modificare significativamente l’assetto azionario di Italo. Msc avrà il controllo della società con il 49,2%c, i soci storici avranno ciascuno lo O,5% ed è previsto che Luca Cordero di Montezemolo mantenga la presidenza. L’investimento di Msc in Italo rientra in un piano più ampio della società che si propone di diventare un gruppo integrato di logistica attivo sia nel trasporto marittimo che in quello terrestre. Al riguardo Aponte ha dichiarato: «L’accordo riflette l’obiettivo del nostro gruppo di sviluppare ulteriormente modalità di trasporto sostenibili sia per passeggeri che per le merci». Da parte sua Montezemolo ha tenuto a mettere in risalto che «con questa operazione si crea il primo polo intermodale d’Europa».

È molto importante che questa iniziativa, partita da imprenditori italiani, possa essere da stimolo per tutte gli interventi di ammodernamento delle reti ferroviarie e autostradali. Spetta al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti assumersi la responsabilità di operare presto e bene in questa direzione.

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